Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
Analisi del WWF sugli effetti del riscaldamento globale in Italia: ecco quali sono le materie prime che stanno soffrendo di più e come provare a invertire la rotta. Iniziando da quello che scegliamo di portare in tavola
E se un giorno non potessimo più mangiare il nostro risotto preferito, quello che ci faceva la mamma da bambini e mai abbiamo dimenticato? E se un giorno dovessimo dire addio alla crema di nocciole che amiamo tanto, a un calice di Vermentino, alla torta pere e cioccolato, al cucchiaino di miele che usiamo al posto dello zucchero? Peggio ancora: e se quel giorno non fosse così lontano come ci piacerebbe pensare?
Di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando dell’impatto del cambiamento climatico su quello che mangiamo. Attenzione: non l’impatto sul clima di quello che mangiamo, ma proprio il contrario. Cioè gli effetti che i cambiamenti che sta subendo la natura avranno sul cibo che arriva sulle nostre tavole. Come appunto il riso, le nocciole, il vino, le pere e il miele.
Non stiamo parlando dell’impatto di quello che mangiamo sul clima, cioè degli effetti inquinanti della produzione di cibo, perché è un argomento di cui nell’ultimo anno abbiamo scritto spesso e di cui continueremo a scrivere. Qui parliamo dell’altra faccia della medaglia, di come i danni che stiamo facendo all’ambiente alla fine ci si ritorcono contro, sotto forma di danni a quello che vorremmo mangiare. E magari non potremo mangiare più.
Questo punto è al centro della terza fase della campagna Food for Future del WWF, dopo quella dedicata alle ricette giuste per salvare la Terra e quella incentrata sul pesce: nel report “L’anno nero dell’agricoltura italiana”, l’associazione cerca di spiegare quali siano le conseguenze dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale sui nostri piatti preferiti. Anche in un Paese come l’Italia, che sembra relativamente protetto. O che per anni ci siamo immaginati e illusi che fosse relativamente protetto.
Scorrendolo, si ha come l’impressione di rivivere gli ultimi 10 mesi, lo scorso inverno, una primavera e soprattutto un’estate più calde del previsto. È una fotografia di quello che è stato il nostro 2021: aumento degli eventi meteorologici estremi come ondate di calore, piogge e allagamenti (la loro probabilità è cresciuta del 9% in 20 anni), siccità, maggiore rischio di incendi e aumento delle giornate estive (quelle con temperature oltre i 25°) e delle notti tropicali (temperatura oltre i 20°). Perché anche se magari non ci è sembrata così, o magari già non lo ricordiamo più, l’ultima estate è stata parecchio calda, con 4 ondate di calore divise fra giugno, luglio e agosto per un totale di 37 giorni bollenti su 92, cioè più di un terzo del totale. Impossibile dimenticare, invece, che l’11 agosto a Siracusa si sono sfiorati i 49°, che è la temperatura più alta registrata non solo in 200 anni di rilevazioni in Italia, ma anche su tutto il territorio europeo.
Per farci capire quello che sta accadendo, il WWF ha avuto una buona idea: insieme con Coldiretti e altre associazioni di categoria ha cercato di mostrare concretamente come, quanto e dove il cambiamento climatico stia colpendo l’industria alimentare italiana. E di conseguenza noi consumatori.
Iniziando dal riso, di cui l’Italia è il primo produttore europeo (da solo, il nostro Paese copre il 50% del mercato): questo cereale, per la stragrande maggioranza coltivato nel triangolo compreso fra Pavia, Vercelli e Novara, è molto sensibile sia alla siccità sia a grandinate e nubifragi. Che nel 2021 sono state talmente tante che hanno provocato un calo della produzione del 10%. Poi c’è il problema del vino, un’altra eccellenza italiana: anche quest’anno il nostro Paese è il primo produttore al mondo (quasi 45 milioni di ettolitri), ma solo in Sicilia e Campania i numeri sono cresciuti, mentre in tutte le altre regioni le gelate estive, le grandinate e la siccità hanno determinato cali medi del 15-25%, con voragini anche del 50%. Che è il motivo per cui un giorno potremo davvero non potercelo concedere più, quel bicchiere di Vermentino di cui dicevamo all’inizio. O di uno qualsiasi dei vini italiani che vi abbiamo raccontato negli ultimi anni.
E l’olio? Secondo le stime di Ismea, quest’anno la produzione è cresciuta del 15% rispetto al 2020, che sembra una cosa buona ma tanto buona non è. Perché? Perché il 2021 doveva essere un anno “ricco”, che avrebbe dovuto fare segnare incrementi ben maggiori. Di più: il dato del +15% è un dato medio nazionale e il WWF ha ricordato che “ci sono regioni del Nord e del Centro che hanno avuto cali disastrosi, fino al 60-80%”. E che succede, quando succede questo? Che le grandi aziende ricorrono sempre più a olio d’importazione, che magari compriamo pensando di comprare italiano.
È più o meno quello che accade già ora per il miele, come abbiamo raccontato nella nostra Guida all’acquisto per sceglierlo buono ed evitare fregature, ed è una cosa che probabilmente accadrà sempre di più: in quest’anno che sta finendo, la produzione di miele è stata ostacolata prima dal freddo tardivo, che ha impedito alcune fioriture, e poi dal caldo estremo e dalla prolungata siccità. Risultato: calo su tutto il territorio nazionale, con picchi del 95% in meno in Toscana ed Emilia Romagna. Se non fosse chiaro, -95% significa produzione praticamente azzerata.
E le nocciole e la frutta, citate nelle prime righe di questo testo? Secondo i dati riportati dal WWF, nel solo Lazio le gelate tardive hanno provocato una perdita media del 70% delle nocciole, ma ci sono zone in cui è andata peggio che in altre: l'azienda agricola che sta all’interno dell’Oasi di Pian Sant’Angelo ha avuto il raccolto totalmente cancellato, sempre a causa delle gelate. Non era mai successo in 70 anni e se le cose continueranno così, presto dovremo dire addio a torte buone come questa.
Alla frutta non è andata meglio: nel 2021 si è registrato un calo medio della produzione pari al 27%, che vuol dire che più di un frutto su 4 è andato perduto a causa degli effetti di eventi meteorologici estremi e imprevedibili. Il danno non è stato uguale per tutti, con pere e pesche che sono risultate le più danneggiate e in calo rispettivamente del 69 e del 48% rispetto alla produzione media dei 5 anni precedenti. Con tanti saluti a questo classico della pasticceria o a questi deliziosi fagottini, tanto per fare un paio di esempi.
E se è vero che quest’ultima parte della storia ha un lato positivo, perché il cambiamento climatico permette la produzione anche in Italia della frutta tropicale (come vi abbiamo raccontato parlando degli avocado made in Italy), è purtroppo vero anche che questi dati sono riferiti al solo 2021 e che ragionando in prospettiva la situazione non è destinata a migliorare. Non da sola, almeno.
Lo scriviamo non per essere pessimisti, ma per essere realisti. Anche perché nel suo report il WWF dice pure un’altra cosa, che è cosa di cui dovremmo esserci accorti anche senza che ce la dicesse il WWF: stiamo parlando degli effetti della siccità sull’agricoltura e sulle coltivazioni di cereali, che già da quest’anno stanno scarseggiando un po’ dappertutto. La ragione è che i cosiddetti “granai del mondo”, che sono sostanzialmente il Canada, gli Stati Uniti e la Russia, hanno visto calare i raccolti sensibilmente, con punte anche del 50% in meno.
Perché? Secondo il WWF, perché “l’aumento delle temperature sta influenzando la produttività agricola a latitudini più elevate, aumentando la resa di alcune colture (come cotone e barbabietole da zucchero), mentre le rese di altre (come mais, grano, orzo) sono in calo nelle regioni a latitudine inferiore” e perché “il riscaldamento, aggravato dalla siccità, ha causato una riduzione della produttività”. Da qui, non è difficile immaginare che “in futuro il cambiamento climatico avrà un ulteriore impatto anche sulla qualità e l’offerta di cibo, con un possibile aumento dei prezzi degli alimentari”. In parole povere, il clima sulla Terra sta cambiando, e quelle che storicamente sono sempre state aree fertili lo sono meno. Ogni anno un po’ meno.
Lo dice il WWF, ma lo dice anche uno studio appena pubblicato su Nature Food, che parla anche dell’Italia e stima che i raccolti di mais e soia, usati molto anche per l’alimentazione degli animali d’allevamento , “caleranno in media del 5% in tutto il mondo a causa del clima più secco e più caldo”. In media, ma non dappertutto allo stesso modo: secondo i ricercatori, Nord America, Europa e Africa saranno le zone che “subiranno gli effetti più duri", con diminuzioni nell’ordine del 15-20%.
Dall’altro lato, ci sono zone del mondo storicamente meno fertili che lo stanno diventando: “Ci sono aree in India, Cina e Giappone dove si stanno creando condizioni migliori per la coltivazione della soia”, con crescite stimate nell’ordine del 15-20%. Appunto perché il clima sta cambiando, da loro come da noi.
E quindi che si fa? Secondo il WWF, le soluzioni si possono sostanzialmente dividere in due: quello che dovrebbero fare i governi e quello che dovremmo fare noi.
Gli Stati dovrebbero puntare maggiormente sull’agricoltura biologica, prima di tutto per gli effetti benefici che ha a livello di riduzione di emissioni di anidride carbonica e anche dell’immagazzinamento della stessa CO2 nel suolo rispetto a quella intensiva, cercando di rispettare gli obiettivi fissati dall’Ue con i piani Farm to Fork e Biodiversità 2030, compresa la riduzione entro questo decennio del 50% dell’uso dei pesticidi e del 20% dei fertilizzanti chimici. Secondo l’associazione, il nostro Paese dovrebbe fare ancora di più, puntando ad avere il 30% della superficie agricola in biologico entro il 2027 e il 40% entro il 2030.
E noi? Noi consumatori che cosa dovremmo fare? Il WWF ha preparato un decalogo di comportamenti virtuosi, che sintetizziamo qui sotto:
fai la spesa a piedi, in bici o con i mezzi pubblici;
compra prodotti ortofrutticoli dai produttori o nei mercati contadini per contribuire a ridurre l’emissione di gas serra legata al trasporto delle merci;
acquista anche i prodotti imperfetti o non aderenti agli standard per ridurre gli sprechi;
approfitta delle produzioni locali di frutti tropicali per ridurre il loro acquisto di importazione;
fai acquisti in gruppo (anche nel condominio), di nuovo per ridurre le emissioni derivanti dal trasporto;
limita il consumo di proteine animali;
usa tutte le parti di un alimento, inclusa la buccia della frutta o la crosta del formaggio, di nuovo per limitare gli sprechi;
limita i prodotti molto trasformati e i piatti pronti (come questi), per la cui produzione serve molta energia, e punta a ingredienti freschi;
privilegia i prodotti sfusi per ridurre i rifiuti da imballaggio;
preferisci cotture brevi e limita il pre-riscaldamento del forno.
Come si vede, sono consigli condivisibili e che infatti condividiamo. Talmente tanto che negli anni ve li abbiamo dati anche noi.
Immagine di apertura di Christoph Schütz per WWF
Si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova ed è nella redazione di Italian Tech
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