Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
È quello da cui deriva il 57% delle calorie assunte dagli americani e mediamente il 25% di quelle di noi europei, è una droga per il corpo e per il cervello. Ed è un problema anche per noi italiani, anche se ci piace illuderci che non sia così
“Roba commestibile che ricorda il cibo”: questa è la definizione universalmente riconosciuta di cibo ultra processato. Se possibile, in inglese fa ancora più impressione: è “edible food-like substances” e descrive perfettamente questo tipo di alimenti, che non sono cibo ma vengono usati come cibo perché lo ricordano e ne hanno alcune caratteristiche.
Il cibo ultra trasformato, come su Cucchiaio scrivemmo già 4 anni fa (qui) e come di recente hanno ricordato i colleghi di Presadiretta su Rai Tre, è uno dei mali del nostro tempo quando si parla di alimentazione. Anzi, forse è la madre di tutti i mali legati al mangiare, pure peggio del junk food perché non solo fa male ma anche è progettato e pensato per renderci dipendenti. Come una droga, però da mangiare.
La definizione citata all’inizio è relativamente recente e si deve sostanzialmente a due persone, il giornalista americano Michael Pollan e soprattutto il nutrizionista brasiliano Carlos Augusto Monteiro, che nel suo studio del 2009 (questo) inventò e usò per primo il termine ultraprocessato. Monteiro, che è stato docente all’Università di San Paolo e anche consulente dell’OMS per i disordini legati alla nutrizione, è stato fra i primi a immaginare l’idea di classificare gli alimenti non in base a quello che contengono (cioè grassi, proteine, zuccheri), ma anche in relazione a come sono lavorati, al fatto che contengano conservanti e in quale misura, che siano stati emulsionati o dolcificati. A come sono processati e trasformati, appunto.
Una quindicina d’anni fa, Monteiro e il suo team reinventarono la tradizionale piramide alimentare, creando una nuova catalogazione dei cibi, chiamata Nova, che viene usata tuttora ed è divisa in 4 categorie di crescente complessità:
È difficile rispondere alla domanda qui sopra e capire quali alimenti siano Nova 4, che è fra l’altro uno dei motivi per cui i cibi ultratrasformati sono sia pericolosi sia insidiosi. Secondo quanto spiegò Monteiro, ci si può aiutare partendo dalla lista degli ingredienti: se è insolitamente lunga, e “se dentro c’è anche solo una sostanza mai sentita, o comunque mai usata in cucina per preparare da mangiare”, allora si è davanti a un alimento ultratrasformato. Fra queste sostanze sono inclusi i cosiddetti zuccheri invertiti, destrosio, lattosio, fibre solubili, olio idrogenato e chiaramente coloranti, emulsionanti, qualsiasi addensante o dolcificante.
È facile trovarle in tanti prodotti con cui abbiamo a che fare quotidianamente: patatine, merendine, pizza surgelata, ovviamente. Ma anche la maggior parte dei cereali per la colazione, moltissimi latti vegetali, margarina, barrette proteiche, insalate pronte, verdure in scatola, pane in cassetta, bibite gassate. Ancora: barrette di cereali, zuppe pronte in polvere, bibite a base di estratto di proteine di soia, salsicce e gran parte dei salumi.
Secondo stime recenti, compresi i risultati di 3 diversi studi condotti per 20 anni su circa 300mila persone negli Stati Uniti (pubblicati ad agosto 2022 sul British Medical Journal), “mediamente il 57% delle calorie consumate dagli americani adulti deriva da questo tipo di prodotti”. Dal cibo ultratrasformato, cioè. Situazioni simili, e percentuali simili, ci sono anche in Australia e in Canada, dove questi alimenti rappresentano oltre la metà di quello che le persone mangiano ogni giorno, o comunque oltre la metà di quello che è in vendita nei negozi. In Europa va meglio, ma non molto: la media del Vecchio Continente si aggira sul 25%, con picchi vicini al 50% in Gran Bretagna.
E nel nostro Paese? Di dati recenti ce ne sono pochi, ma la sensazione degli esperti è che i numeri non siano tanto diversi di quelli degli altri: nel 2019 si parlava di meno del 20% della dieta quotidiana (che comunque non è poco), percentuale che è drasticamente salita negli ultimi anni, come ha in qualche modo confermato il corposo progetto di ricerca Moli-Sani dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli, in provincia di Isernia, che ha seguito per 12 anni oltre 22mila persone e le loro abitudini alimentari (queste le conclusioni, sempre sul British Medical Journal).
Dove non arrivano i numeri, arriva il buon senso: come abbiamo visto dal parziale elenco riportato sopra, ai cibi ultraprocessati abbiamo facilmente accesso pure noi, li troviamo tutti i giorni nei nostri supermercati, li portiamo a casa, li usiamo per preparare un pranzo o una cena velocemente e senza troppa fatica. Li consumiamo come fanno negli altri Paesi, insomma. La controprova arriva dai dati sull’obesità: relativamente al 2021, l’Istat ha rilevato che nella popolazione adulta la quota di sovrappeso è del 36,1%, mentre gli obesi sono l’11,5%, fra l’altro con un trend in continua crescita. Quindi, sì: quello degli alimenti ultratrasformati è decisamente un problema che riguarda pure l’Italia, nonostante che sia la patria del buon cibo.
Fra l’altro, per i più piccoli va ancora peggio da questo punto di vista: sempre nel nostro Paese, secondo dati dell’Istituto superiore di Sanità (questi), già a 8 anni il 39% degli italiani è sovrappeso e il 17% soffre di obesità.
Ma che c’entrano i cibi ultraprocessati con queste patologie? C’entrano perché uno dei pericoli principali di questi alimenti è che sono appetitosi e non saziano, dunque si ha due volte voglia di mangiarli di continuo. E visto il loro elevato contenuto di zuccheri, grassi e altre sostanze poco gentili con il nostro corpo, le conseguenze sono immaginabili. Non c’è solo questo, purtroppo: il fatto che questo cibo non basti mai è una delle prime cause del cosiddetto binge-eating, dell’alimentazione compulsiva e incontrollata, con conseguenze anche a livello psicologico e l’insorgere di sensi di colpa perché “non riesco a smettere”. Anche se questo “non riesco a smettere” non è interamente colpa di chi mangia: non si riesce a smettere perché questi cibi sono pensati, fatti, creati per non far smettere. Pure le confezioni, con scritte, colori e materiali accattivanti, sono progettate a questo scopo.
Questo porta a conseguenze dirette, pratiche e concrete sulla salute personale, dimostrate scientificamente in più occasioni. A fine 2018, Kevin Hall, un ricercatore dell’Istituto nazionale per il Diabete e le Malattie renali del Maryland, negli Stati Uniti, è stato il primo al mondo a condurre uno studio controllato randomizzato sugli effetti di questo cibo: per un mese, 10 uomini e 10 donne hanno accettato di vivere in una clinica e mangiare le quantità che volevano di quello che veniva loro offerto, 2 settimane di cibo ultratrasformato (muffin al mirtillo, carne in scatola, sandwich di tacchino, patatine, pasti precotti) e 2 settimane di cibo normale (frutta, spinaci, riso, uova, insalata di pollo).
Risultato? Durante i 14 giorni in modalità ultra, le persone hanno mangiato circa 500 calorie in più al giorno rispetto al loro fabbisogno e gli esami del sangue hanno dimostrato che i livelli di ormoni che regolano l’appetito (come grelina e leptina) restavano molto alti anche dopo i pasti, cosa che conferma la sensazione di non essere mai sazi associata ai cibi ultratrasformati. Come se non bastasse, i soggetti dell’esperimento hanno preso in media circa 1 kg di peso ciascuno durante le 2 settimane in cui hanno mangiato male.
Più di recente, il Center for Disease Control degli USA ha pubblicato i risultati di uno studio condotto sul regime alimentare e la salute cardiovascolare di 13mila americani dimostrando che ogni crescita del 5% nelle calorie assunte attraverso i cibi ultraprocessati provoca un’equivalente decrescita delle funzionalità del cuore e del sistema circolatorio.
Viste le premesse, la conclusione ovvia è che dovremmo azzerare (o comunque ridurre il più possibile) il consumo di questi alimenti, ma prima di poterlo fare è necessario riuscire a individuarli.
Per farcela, un buon punto di partenza è la classificazione di Monteiro ma per capire dove stanno i vari prodotti, fra Nova 1 e Nova 4, è necessario aiutarsi con la tecnologia: Open Food Facts, una ong di origine francese, raccoglie da tempo schede e informazioni su oltre 3 milioni di prodotti (4 anni fa erano meno della metà) che si possono consultare sia online sia attraverso un’app per Android e iPhone. Il funzionamento è semplicissimo: dopo averla installata, si scansiona il codice a barre del prodotto che si ha davanti e si ottiene una scheda molto dettagliata con in bella evidenza sia il punteggio Nutri-Score sia appunto la classificazione Nova. Usarla è un modo veloce e alla portata di tutti per conoscere davvero quello che stiamo per comprare e poi mangiare, già mentre si fa la spesa.
Noi italiani abbiamo un altro aiuto, che viene da uno dei capisaldi della nostra tradizione: seguire la dieta mediterranea con intelligenza (qui ci sono 35 ricette), scegliendo prodotti non di provenienza industriale e privilegiando frutta e verdura di stagione, è sicuramente un’ottima contromisura. In generale, è consigliabile riprendere a cucinare evitando che siano altri a preparare piatti per noi, per quanto possa essere più dispendioso dal punto di vista economico e del tempo, usando solo ingredienti Nova 1 e Nova 2, e anche masticare di più e più lentamente, perché consumare i pasti rapidamente, come si tende a fare con i cibi ultratrasformati, ha conseguenze anche sulla sensazione di sazietà. Lo studio di Hall del 2018 lo ha dimostrato scientificamente, anche se le nostre nonne lo sapevano già.
Un po’ come in fondo dovremmo tutti sapere che c’è un’enorme differenza fra un sacchettino di albicocche comprate dal verduraio e uno snack a base di albicocca disidratata. È quello che dicemmo nel 2020 chiudendo il nostro pezzo sul cibo ultraprocessato, lo ribadiamo oggi perché forse serve ancora.
Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
Tante idee buone e gustose senza prodotti di origine animale, da consumare a gennaio, ma anche tutto l'inverno, perché no?
Il Veganuary è il gennaio vegano. Un’organizzazione inglese ci invita a mangiare vegano per un mese. Abbiamo chiesto a una Biologa Nutrizionista se farlo fa... Leggi tutto
In occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione, ecco quali sono e le linee guida e le filosofie da conoscere per seguire correttamente 8 regimi... Leggi tutto
Until the End of the World è il nuovo lungometraggio che racconta le insidie dell'acquacoltura: ecco cosa comporta la crescita del settore dell'allevamento del... Leggi tutto