Tante idee buone e gustose senza prodotti di origine animale, da consumare a gennaio, ma anche tutto l'inverno, perché no?
È fra i cibi più consumati al mondo, nonostante i tanti dubbi che lo riguardano: ecco come sceglierlo buono, per noi e per l’ambiente. Iniziando da quelli coltivati in Italia
In Centro e Sudamerica, le piantagioni di avocado sottraggono spazio a boschi e foreste, costringono chi lavora a turni massacranti e richiedono tantissima acqua per essere annaffiate, più o meno una volta e mezza rispetto a piante paragonabili. Si dice spesso che le coltivazioni di avocado non sono molto sostenibili (ma comunque inquinano un terzo rispetto agli allevamenti di polli, un quarto rispetto a quelli di maiali e un ventesimo rispetto a quelli di mucche), quello che si dice meno è che non sono tutte così e che comunque sono nelle condizioni in cui sono anche per colpa nostra.
Nostra inteso come di noi consumatori, che mangiamo questo frutto tantissimo e sempre di più: quasi 50 tonnellate l’anno solo in Italia, un dato fra l’altro in crescita, più o meno del 25% ogni 12 mesi. Nel resto del mondo non va meglio: l’avocado è talmente richiesto, più o meno dappertutto, ed è diventato talmente importante che esiste addirittura un Avocado Day a lui dedicato (è il 31 luglio) e che gli americani ne hanno creato una variante nuova per produrselo da soli.
Se n’è parlato di recente anche in televisione, ma è un tema che su Cucchiaio abbiamo affrontato spesso, sia sfatando un po’ di falsi miti sull’argomento sia ragionando sul fatto che proprio perché la domanda è parecchio alta, l’offerta è destinata a salire ulteriormente e la produzione di avocado si sposterà anche in altre zone del mondo, senza impattare più soltanto su Centro e Sudamerica. È vera questa cosa? Certo che è vera: l’avocado si coltiva anche in Europa (in Spagna, per esempio) e sempre di più anche nel nostro Paese, molto più di quello che si potrebbe pensare. Ed è quello l’avocado che dovremmo scegliere di portare sulle nostre tavole.
A confermarcelo è stato Rosolino Palazzolo, titolare dell’Orto di Rosolino, un’azienda agricola siciliana che è stata fra le prime a coltivare frutti tropicali nel nostro Paese: “L’ha fondata mio padre nel 1994 a Terrasini, in provincia di Palermo - ci ha raccontato durante una lunga chiacchierata - e già 12-15 anni fa abbiamo iniziato a dedicarci a piante come papaya, mango, avocado e zapote nero (un frutto il cui sapore ricorda quello del cioccolato, ndr)”. L’hanno fatto perché si sono accorti che la richiesta c’era già allora, che il mercato rispondeva bene. E poi non si sono più fermati: “Abbiamo già messo in produzione il caffè, abbiamo visto che regge al passaggio dell’inverno ed entro un paio d’anni vogliamo iniziare a venderlo - ci ha detto - e abbiamo iniziato i test con il cacao, ma i tempi saranno più lunghi perché per essere sicuri devono passare circa 5 anni dalla prima semina”.
L’Orto di Rosolino pratica agricoltura solo biologica su circa 6mila metri di serre (quasi tutte dedicate ai frutti tropicali) e 3 ettari tra pieno campo e frutteto misto dove crescono anche agrumi e albicocche: dà lavoro a 5 persone e i prodotti si possono comprare sia al telefono sia online, ma non è l’unica in Italia a dedicarsi all’esotico. Ci sono piantagioni simili anche nel Ponente ligure e in alcune zone della Toscana, ma soprattutto al Sud, per ragioni climatiche: “Qui in Sicilia sono concentrate fra Catania e Messina, poi ce ne sono altre in Calabria”. Non sono poche, ma non sono abbastanza: “Il numero di aziende continua a crescere, ma c’è talmente tanta domanda che ne servirebbero 4-5 volte tante - ci ha spiegato Palazzolo - C’è una richiesta enorme, tanto che anche noi stiamo cercando di aumentare la produzione”, che al momento arriva a circa 30 quintali l’anno.
Palazzolo coltiva l’avocado di varietà Hass, che è quella più venduta e diffusa: “In 3 giorni li facciamo arrivare in tutta Italia, e preferisco spedirli quando sono ancora verdi, quando sono ancora un po’ acerbi, così che parte della maturazione avvenga durante il viaggio”. Mediamente, un avocado impiega 7-10 giorni a maturare completamente, diventando più scuro fuori e più morbido all’interno.
Considerate queste indicazioni, i consigli per sceglierlo buono, quando lo si compra al supermercato o in un negozio, sono a grandi linee quelli che sul Cucchiaio d’Argento abbiamo dato nella nostra guida Come cucinare l’Avocado: è pronto da mangiare quando è morbido alle estremità, ma poco cedevole nella parte centrale, deve avere una consistenza ben percepibile e il nocciolo deve aderire bene alla polpa; la buccia dev’essere quasi nera nella varietà Hass e verde nelle altre, che si chiamano Bacon e Fuerte.
È importante prendere in considerazione anche la stagionalità: in Italia gli avocado crescono indicativamente fra ottobre e maggio (che secondo Palazzolo è “il momento in cui si trovano quelli migliori”), mentre in altre parti del mondo, come a Tenerife e ovviamente in Sudamerica, si può avere tutto l’anno grazie al clima molto favorevole.
A seconda di provenienza, qualità e stagione, il costo degli avocado oscilla mediamente fra i 2 e i 4 euro al chilogrammo e un frutto può arrivare a pesare 1 kg anche da solo: secondo Palazzolo, per comprare un buon avocado sarebbe meglio non spendere meno di 6-7 euro per una confezione da quattro, perché “produrlo costa tantissimo”.
Costa tanto anche in termini di risorse. La pianta di avocado ha un rapporto molto complicato con l’acqua: gliene serve tanta, ma non ne vuole troppa, perché altrimenti si crea un ristagno che può risultare dannoso. Per avere un’idea di quanta sia, l’acqua necessaria, è utile un confronto: “Gliene diamo più o meno una volta e mezza di quella che diamo ai limoni - ci ha spiegato Palazzolo - Per esempio, se si usano 100 litri d’acqua alla settimana per coltivare i limoni, per coltivare gli avocado si usano 150 litri alla settimana”.
Poi c’è la questione di quanto costa spostarli, non solo dal punto di vista economico: gli avocado che partono dal Sudamerica percorrono anche 3-4mila chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole e per farglieli percorrere sono necessarie navi oppure aerei, che consumano carburante e inquinano tantissimo. Non solo: c’è anche il dubbio su come facciano a essere ancora buoni, gli avocado che fanno così tanta strada prima di essere consumati. Palazzolo ci ha confermato quello che più o meno già sapevamo: “Vengono trattati per resistere al viaggio - ci ha detto - Vengono trattati anche se poi magari sono etichettati come Bio, solo che non lo sono più, anche se probabilmente chi li compra pensa che lo siano”. Perché succede? “Perché all’estero le leggi su questo sono meno severe che in Italia e molto di quello che in Sudamerica è considerato Bio, da noi non lo sarebbe”. Un altro problema è quello delle (possibili) contaminazioni: “Se i campi dove stanno le piante hanno accanto campi dove si pratica l’agricoltura tradizionale, che al di là dell’Atlantico viene fatta con grandissimo uso di diserbanti, pesticidi e glifosato, può accadere che tracce di queste sostanze finiscano sui prodotti che sono etichettati come Bio”. Che però a quel punto non sono più Bio.
E quindi? E quindi, vale lo stesso discorso fatto per altri alimenti molto richiesti e molto consumati, come il salmone: dobbiamo provare ad abituarci a pagare un po’ di più quello che mangiamo e magari anche a mangiarne meno, investendo più nella ricerca della qualità che della quantità. Che è un comportamento che fa bene non solo a noi (perché ci nutriamo meglio), ma pure all’ambiente (perché indirettamente inquiniamo meno).
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