Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
L’Italia è terza al mondo nella produzione del cosiddetto oro rosso e cerca di non farsi travolgere dalle importazoni di questo alimento importante: la fotografia della situazione e i consigli di chi tutti i giorni ha a che fare con i pomodori
L’Italia produce complessivamente circa 6,7 milioni di tonnellate di pomodoro l’anno (il dato è del 2021 e arriva dalla Fao), coltivate soprattutto in Sicilia, Campania, Puglia, Liguria, Emilia e Toscana: sono tante o sono poche? Sono tante, e però sono anche poche. Sono poche nel senso che il nostro Paese ha da tempo perso terreno nei confronti di quelli che sono i due principali produttori di pomodoro al mondo, cioè gli Stati Uniti e la Cina, che arrivano rispettivamente a 10,5 e quasi 68 milioni di tonnellate.
Il grafico che si vede qui sotto conferma che la curva di crescita della Cina è impressionante per rapidità e intensità: il confronto fra i tre Paesi è necessario (e più sotto ci torniamo), perché negli ultimi anni c’è davvero un rischio invasione dei pomodori extra Ue in Italia. E i numeri aiutano a capire perché e anche quanto grande sia lo squilibrio fra le forze in campo.
Partendo da qui, dal problema per noi consumatori di scegliere il pomodoro giusto e di distinguere quello buono da quello cattivo, o comunque meno buono, abbiamo pensato di realizzare una sorta di guida all’acquisto (le altre sono elencate in fondo alla pagina). Ci siamo fatti aiutare da chi ne sa più di noi: da Nicola Longo, che fa l’agricoltore da oltre vent’anni nell’azienda di famiglia, la Parco Maria Rosaria di Monreale (in provincia di Palermo), e da Mario Mattone, responsabile Qualità della Cooperativa Ortofrutticola di Albenga (Savona), un territorio da cui arrivano ottimi pomodori.
Come si vedrà, concordano praticamente su tutto, ma soprattutto su una cosa: il problema non è tanto nel pomodoro per l’insalata (in gergo, “da mensa”) quanto per il pomodoro industriale, quello destinato a passata, conserve e pelati. Perché è lì che è difficile capire che cosa stiamo comprando ed è lì che possiamo essere ingannati.
“Negli ultimi anni abbiamo abbassato la produzione di pomodoro da industria (da passata, ndr) perché ci siamo accorti che le persone non lo chiedono più”, ci ha raccontato Longo, che coltiva circa 10 ettari di terreno dove crescono anche altri ortaggi, insieme a piante da frutto come melograni e albicocchi. Come mai non c'è più richiesta di pomodoro per preparare la passata? “Perché preferiscono comprarla già pronta, invece di farsela a casa - ci ha risposto Longo - Negli anni, questo ci ha portati a ridurre le piante di pomodoro dalle 20-25mila che erano alle attuali 8-10mila (da ognuna si ricavano in media circa 5 kg di pomodori, ndr)”. E l'azienda agricola si è attrezzata per produrre direttamente la passata di pomodoro.
Mattone è d'accordo: “In Italia la produzione di pomodoro da industria è calata, gradualmente ma costantemente - ci ha ricordato al telefono - perché le aziende (grandi marche comprese, ndr) preferiscono comprarlo all’estero, cioè in Spagna, Sudamerica e Cina, e poi imbottigliarlo qui”. Possono farlo? “Sì, possono e la legge glielo permette, perché basta che sia inscatolato qui per essere Made in Italy”, ci ha spiegato Mattone, secondo cui “sarebbe meglio che ci fosse un’etichetta Coltivato in Italia o Born in Italy”. Il problema, ha sottolineato Longo, è che “la passata che arriva dall’estero può contenere sostanze che da noi sono vietate o in quantità che da noi sarebbero vietate” o che comunque non dovrebbero starci. È il caso della fibra di soia, che nel concentrato che arriva dalla Cina viene usata come addensante in percentuali che possono andare dal 20% sino ad addirittura il 50%.
E allora come si fa? Come si fa a scegliere il pomodoro buono ed evitare fregature? Per semplicità, i consigli si possono dividere in due, a seconda che si voglia comprare la passata o che si voglia comprare il pomodoro fresco. Nel primo caso, il consiglio principale è quello di leggere e controllare sempre bene l’etichetta, dove “dovrebbe essere indicata la provenienza e resa possibile la tracciabilità”; ci si può aiutare anche con il codice a barre e con la tecnologia, usando app che permettono la scansione e l’interpretazione dei numeri, così da poter risalire all’azienda produttrice e al Paese di provenienza. In generale, “dei prodotti a marchio mi fiderei”, ci ha detto Mattone, intendendo “di chi ci mette la faccia e il brand”, soprattutto nella grande distribuzione.
Se invece si cerca il pomodoro fresco, con cui condire l’insalata o magari un piatto di pasta, l’etichetta è meno importante (anche se pure qui dovrebbe permettere la tracciabilità sino alla regione di provenienza) e sono più importanti la vista e il tatto: “Il pomodoro è sensibile agli sbalzi di temperatura e col caldo si ammorbidisce - ci ha spiegato Longo - Se è verde e molle non va bene, perché significa che è stato raccolto prima del tempo e dunque non maturerà più”. Marcirà e basta, insomma. Poi, attenzione al peduncolo, quel che rimane del ramo cui il pomodoro era attaccato: “Se è secco e asciutto, non è più fresco ed è stato raccolto da tempo”.
A proposito di tempo: il pomodoro si coltiva tutto l’anno e dunque si può mangiare tutto l’anno? Un po’ sì e un po’ no: “Lo raccogliamo sempre perché per quello da insalata la domanda è costante a prescindere dalle stagioni - ci ha detto ancora Longo - però in Italia quello più buono è quello che cresce fra giugno e settembre”. Perché? “Perché lo si può coltivare a campo aperto (per il clima favorevole, ndr) e quando cresce così il sapore è decisamente migliore rispetto a quello coltivato in serra. Non si discute su questo”. Quindi meglio comprarlo a fine estate, se lo si vuole davvero buono.
Qui il primo consiglio, di nuovo diviso in due, è il contrario di quello che magari ci si potrebbe aspettare: meglio comprare il pomodoro fresco al supermercato e la passata dal piccolo produttore artigianale. Perché? Perchè, come detto, la passata è il prodotto potenzialmente più “rischioso” (inteso come rischio di comprare qualcosa che non è quello che si pensava di comprare), dunque meglio prenderla da qualcuno di cui potersi fidare. E perché, secondo Mattone, nei punti vendita della grande distribuzione, i controlli sono generalmente molto rigorosi e dunque si può stare relativamente tranquilli.
Per quanto riguarda il prezzo di vendita incide molto il costo di raccolta e Longo e Mattone ci hanno confermato che quella meccanica permette di risparmiare anche un terzo: produrre 1 kg di pomodoro “da mensa” costa circa 90 centesimi di euro, mentre produrre 1 kg di pomodoro industriale, “che cresce 60/70 centimetri e poi viene raccolto dalle macchine”, costa meno di 30 centesimi. Detto questo, una passata di buona qualità e fatta (davvero) in Italia non può costare meno di 2 euro al litro e per 1 kg di pomodoro costoluto si dovrebbero spendere fra gli 1,5 e i 2 euro. Insomma, meglio diffidare di quelle offerte a 0,99 che tanto spesso cercano di attirare la nostra attenzione: soprattutto per il cibo vale il discorso che se costa poco, probabilmente vale poco ed è costato poco produrlo, come su Cucchiaio.it ripetiamo da tempo.
Infine le varietà, che per i pomodori sono pressoché infinite, e i loro usi più indicati, da considerare come linee guida e non come regole ferree: secondo Longo, che coltiva anche il Pizzutello Nano e il San Marzano, “datterino e ciliegino sono più indicati per condire la pasta, il costoluto per le conserve e il Cuore di bue per l’insalata”. Mattone è più salomonico: “Cuore di bue e costoluto per insalata e pizza, ma datterino e ciliegino sono ottime alternative per entrambi gli utilizzi”.
Insomma, anche col pomodoro è questione di gusti: l’importante è stare attenti durante il processo di acquisto. Perché il rischio è di fidarsi e di finire per condire la pasta, la pizza o altro con qualcosa che non è quello che pensavamo che fosse. È un rischio che sta aumentando: Coldiretti ha fatto più voltenotare come siano cresciute le importazioni di derivati del pomodoro dalla Cina, che con la spedizione di oltre 70mila tonnellate l’anno è il principale fornitore dell'Italia di questo alimento. Di più, sempre secondo quanto spiegato da Coldiretti: “Negli ultimi anni si sono verificati aumenti degli sbarchi dall'estero di derivati di pomodoro, che arrivano per quasi la metà dalla Cina in fusti industriali da 200 kg di concentrato da rilavorare e confezionare”. E poi distribuire nei negozi.
La situazione è quella ben descritta nell’interessante documentario “L’impero dell’oro rosso”, che la Rai mandò inonda a metò 2021 e disponibile su Rai Play: la produzione in Cina che cresce in maniera vertiginosa, gli Stati Uniti che cercano di stare al passo, l’Italia che tenta di non farsi travolgere. In appena vent’anni e anche grazie all’aiuto del nostro Paese (in macchinari, competenze, know-how), la Cina è riuscita a diventare il primo esportatore al mondo in 130 Paesi di un prodotto che le era praticamente sconosciuto, come aziende colossali, con aziende colossali come Cofco Tunhe, che sfornano quasi 5mila tonnellate di pomodori al giorno e permettono a Pechino di dominare (o essere sul punto di dominare) un mercato che vale miliardi di dollari.
Il punto è che non solo si consuma tanto pomodoro più o meno in tutto il mondo (circa 8 kg l’anno per persona in Germania, 9 kg in Giappone, 10 negli Usa, oltre 15 in Italia), ma anche che la domanda è in costante crescita, più o meno del 3% l’anno. Non solo: i cinesi il pomodoro non lo mangiano, o comunque lo mangiano molto poco, ma quando inizieranno a farlo questo mercato e il suo valore cresceranno ancora. Le aziende cinesi lo sanno, e quindi stanno facendo in Africa quello che noi abbiamo fatto con loro nel 2000, però molto più in grande: stanno insegnando agli africani a coltivare i pomodori (è un esempio di landgrabbing). C’è un motivo, anzi ce ne sono due:
- già adesso, l’Africa è il continente con il più alto consumo pro capite di pomodoro al mondo (in alcuni Stati, le importazioni sono cresciute di 30 volte negli ultimi 15 anni), dunque ha senso andare a coltivare là;
- se produrre in Cina costa poco, farlo in Africa costa pochissimo e ci sono Paesi, come il Ghana, dove lo stipendio medio di un bracciante si aggira sui 100 dollari al mese, cioè un quarto rispetto a quello di un omologo cinese.
Quello che succederà (o potrebbe succedere) in futuro è intuibile: acquisteremo in Italia una bottiglia di passata di pomodoro credendo che sia italiana, poi scopriremo che è stata prodotta da un’azienda cinese, dopo ancora scopriremo che arriva dall'Africa. Ecco perché dobbiamo stare attenti a quello che compriamo, quando compriamo. Anche se si tratta solo di pomodori.
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