La dieta sostenibile fa bene a noi e all’ambiente: 5 ricette per provarla

C’è un modo di mangiare che unisce le esigenze delle persone e quelle della Terra: ecco perché se ne parla, come funziona e 5 piatti da provare per capire se fa al caso nostro

Ogni settimana, un hamburger, due porzioni di pesce, non più di due uova. E per il resto, legumi, noci, frutta, verdura e cereali: secondo i 36 scienziati (di diverse discipline e di diversi Paesi) che fanno parte della Eat-Lancet Commission, sarebbe più o meno questo il modo in cui dovremmo mangiare per fare bene a noi e insieme anche all’ambiente. Per non distruggerlo, insomma.

È quella che anche il Wwf chiama “dieta sostenibile”, un regime alimentare (meglio: un modo di mangiare) che tiene appunto conto sia delle esigenze di chi lo segue sia di quelle della Terra, che cerca cioè di bilanciare le necessità nutritive delle persone con l’impatto inquinante della produzione del cibo che viene consumato.

Come sul Cucchiaio abbiamo spiegato più volte (con l'articolo Quello che mangiamo è quello che inquiniamo), l’alimento più pericoloso dal punto di vista ecologico è la carne, che è il motivo per cui nel menù ideale della dieta sostenibile ne compare davvero pochissima. È bene ribadire che succede non per ragioni etiche, legate alle sofferenze patite dagli animali, ma per un puro calcolo matematico su che cosa inquina meno e che cosa inquina di più, combinato con quello che dovrebbero mangiare le persone.

Come si è arrivati al concetto di dieta sostenibile

L’idea di seguire una dieta sostenibile non è recente, ma è di recente che se n’è tornato a parlare con insistenza, da quando evidenze scientifiche hanno reso sempre più difficile negare la cosiddetta “carbon footprint” del cibo (come spiegato nell'articoloIl 2020 e il boom della carne vegetale), dimostrando quanto inquina produrre un alimento, in termini di acqua consumata, di terreno occupato e tolto alla natura e di emissioni di gas serra. Da qui, dal confronto fra quanto “pesa” dal punto di vista ecologico un chilogrammo di carne rossa rispetto alla stessa quantità di carne bianca, di uova, di soia e di altri legumi, si è arrivati a capire che non tutto il cibo fa male all’ambiente allo stesso modo.

Il passo successivo, quello su che cosa faccia bene (a noi) e quanto, l’hanno compiuto medici, dietologi e nutrizionisti, che col passare del tempo hanno scoperto, dimostrato, spiegato che nel mondo vegetale ci sono parecchie alternative ai cibi di derivazione animale da cui assumere il corretto apporto di proteine, grassi e altre sostanze nutritive (sul Cucchiaio ne abbiamo scritto qui Come seguire (per bene) l’alimentazione vegana e la verità sul caso della B12). Lo scorso ottobre, in occasione della Giornata mondiale dell’Alimentazione e della sua Food Week, il Wwf ha ricordato che “in Italia potremmo ridurre del 36% la perdita di biodiversità e del 28% la domanda di terre coltivate se scegliessimo di rivedere i nostri stili alimentari ogni giorno” e anche che “l’Italia potrebbe ridurre dell’80% le emissioni di gas serra derivanti dagli attuali consumi alimentari diminuendo principalmente il consumo di carne rossa e latticini (perché il processo produttivo è sostanzialmente lo stesso, ndr)”.

Che cosa mangiare e che cosa non

Ma quindi come si fa? Al di là delle parole, delle cifre, delle stime e dei calcoli, che cosa dovremmo mangiare se davvero volessimo stare bene noi e anche non fare stare male il Pianeta? Esistono poche liste vere e proprie di cibi “sì” e cibi “no” (un esempio è all’inizio di questo testo), di ricette che vanno bene e altre che vanno male, ma ci sono alcune linee guida, che si possono provare a seguire quando si fa la spesa, quando si decide che cosa consumare in pausa pranzo o che cosa cucinare per cena. E pure quando si dividono scarti e rifiuti per la raccolta differenziata.

Intanto, per noi italiani c’è un vantaggio, perché la cosiddetta dieta mediterranea è già di suo piuttosto sostenibile. Se fatta bene, s’intende: è necessario e consigliabile scegliere prodotti non di provenienza industriale (della cui pericolosità abbiamo parlato raccontando cos’è il cibo ultratrasformato in La mala-evoluzione del junk food), privilegiando frutta e verdura e soprattutto frutta e verdura non solo di stagione, ma pure “local”. Perché il cibo non inquina solo mentre lo si produce, ma pure mentre lo si trasporta da un capo all’altro del mondo.

Partendo da qui, altri consigli:

  • provare a smettere di considerare i prodotti di derivazione animale come portata principale dei nostri pasti, come siamo abituati a fare praticamente da sempre (il perché, partendo dalle parole, ce l’ha spiegato l’Accademia della Crusca in "Sei un vegetale!" l'Accademia della Crusca ci spiega l'influenza che le parole hanno sul nostro modo di mangiare)
  • ridurre drasticamente il consumo di carne, sostituendola con diverse fonti proteiche di origine vegetale (come i legumi)
  • scegliere pesci meno comuni, come zerro, palamita e sugarello, per evitare la scomparsa delle specie più richieste e sfruttate, e anche sceglierli di dimensioni più grandi, per dare agli altri il tempo di crescere, riprodursi e ripopolare il mare prima che sia tardi (leggi: Perché il pesce vegetale è il futuro e perché lo fa anche Nestlé).
  • Infine, valutare l’idea di mangiare meno, perché nel mondo occidentale “non smettiamo praticamente mai di nutrirci” (come ci ha ricordato la nutrizionista Erika Pastore parlando del fenomeno del digiuno intermittente nell'articolo Che cos’è il digiuno intermittente, come funziona, quali rischi si corrono) e anche lo facciamo tantissimo, pure troppo: di recente, il Wwf ha ricordato che rispetto alle media “la percentuale di persone sottopeso è sino a 10 volte più alta nei Paesi più poveri, mentre la percentuale di persone in sovrappeso è sino a 5 volte più alta nei Paesi più ricchi”.

Ancora: secondo statistiche recenti, gli Stati europei hanno un livello di assunzione alimentare quotidiana che è esattamente doppia rispetto agli Stati africani (1,6 kg di cibo al giorno a persona contro meno di 800 grammi); addirittura, in Italia superiamo in media i 2 kg di cibo al giorno.

Due regimi alimentari da scegliere e 5 ricette da provare

Come si vede, non ci sono dogmi e regole ferree, ma prevalentemente consigli e indicazioni da seguire, per orientarsi nella direzione giusta. Se restano dubbi, online c’è uno strumento molto utile, e pure interessante da usare, si chiama Planet-Based Diets Impact & Action Calculator e permette di capire in pochi passaggi quanto inquina il proprio regime alimentare, quanto influisce sulla carbon footprint del Paese di appartenenza e pure dove agire, che cosa mangiare di meno e che cosa di più, per cambiare: è sufficiente selezionare dove si abita, quale dieta si segue e poi (punto 3) agire sugli indicatori dei singoli alimenti, aumentando e diminuendo la quantità settimanale, per vedere subito gli effetti in una direzione o nell’altra.

Per semplificare ulteriormente, si può scegliere direttamente la dieta reducetariana o (meglio ancora) flexitariana, indicata da sempre più fonti come quella “giusta” per l’equilibrio fra nutrienti e impatto sull’ambiente: come spiegammo a luglio sul Cucchiaio (con l'articolo Reducetariani, vegetariani, vegani: le 8 diete alternative più diffuse e il caso (tragico) di Steve Jobs), prevedono entrambe, anche se in misura diversa, di ridurre il consumo di carne bianca e rossa, diminuire le porzioni e privilegiare il cibo di stagione proveniente dal proprio territorio, anche arrivando a far sì che i prodotti di derivazione animale non superino il 20% di quello che si mangia.

Più facile ancora: per rendersi conto se un’alimentazione del genere va bene per le proprie esigenze, si possono provare i 5 piatti indicati dal Wwf come perfetti in questa stagione dal punto di vista della sostenibilità: sono le orecchiette con cime di rapa , la pasta e fagioli, i tortelli di zuccala zuppa di pesce e la ribollita,

Apri slideshow
5 piatti indicati dal WWF come perfetti dal punto di vista della sostenibilità
Orecchiette con le cime di rapa
Pasta e fagioli
Tortelli di zucca
Ribollita
Zuppa di pesce

Perché ci serve una dieta che sia sostenibile

Capito che cos’è, in cosa consiste, e come farlo e che cosa mangiare, resta ovviamente da capire il perché: perché sarebbe necessario seguire una dieta sostenibile? Perché ci serve, serve a noi come persone, oltre che alla Terra?

Soprattutto perché siamo tanti e perché presto diventeremo tantissimi: secondo l'Onu, entro 30 anni saremo poco meno di 10 miliardi, quindi è (anche) una questione di spazio (grafico qui sopra), come spiegammo parlando dei benefici dell’agricoltura verticale (L'agricoltura verticale per coltivare sempre e ovunque: da Dubai a San Francisco, a Milano ) che ne occupa meno di quella tradizionale. Il problema non è tanto lo spazio per noi, quanto quello relativo allo spazio per produrre il cibo che ci servirà: il modo in cui stiamo producendo soprattutto la carne, bianca e rossa, le uova, i latticini, ne richiede troppo perché possa aumentare ancora, come invece sarebbe necessario per soddisfare le esigenze di una popolazione mondiale prevista in crescita.

Il grafico di Our world in data mostra la quantità di terreno utilizzata per la produzione dei vari alimenti

La soluzione è appunto quella di produrre più vegetali e incominciare a mangiarne di più, perché hanno un’impronta inquinante sensibilmente minore, e anche cercare altre fonti di proteine. Come gli insetti, che negli Stati Uniti (e in altre zone del mondo) si stanno già diffondendo rapidamente, anche su scala industriale (ne abbiamo parlato qui: Robot nei mattatoi e piantagioni di grilli coltivati dalle macchine: il futuro della produzione di cibo è già qui). Sì, forse è meglio iniziare dalla dieta sostenibile…
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

loader