Robot nei mattatoi e piantagioni di grilli coltivati dalle macchine: il futuro della produzione di cibo è già qui
Impianti di produzione della carne chiusi a causa del coronavirus, vendite in calo, clienti persi, posti di lavoro persi: la risposta dei produttori passa attraverso la tecnologia. E attraverso gli insetti
Il perché lo spiegammo sul Cucchiaio a inizio giugno in questo articolo: perché gli spazi sono angusti, i dipendenti lavorano appiccicati gli uni agli altri e lo fanno a ritmi così elevati che non hanno nemmeno il tempo di andare al bagno o di starnutire, men che meno di farlo nella piega del gomito. Perché dentro fa piuttosto freddo, anche. Insomma, sono le condizioni ideali per la propagazione dei virus, che infettino gli animali oppure le persone. Risultato: stabilimenti chiusi, posti di lavoro a rischio, carne che non arriva nei negozi, conti che non tornano, clienti che cambiano abitudini alimentari e potrebbero essere persi per sempre.
Che cosa sta succedendo negli impianti
Anche per questo, e anche per il timore (lo stesso che abbiamo qui in Europa) di una seconda ondata di contagi, l’americano Cdc, il Centro per il Controllo della malattie, ha imposto nuovi protocolli di sicurezza : i lavoratori devono indossare la mascherina, essere separati da divisori di vetro e stare ad almeno un metro di distanza l’uno dall’altro, ricordando comunque che in questi capannoni “i dipendenti hanno spesso turni molto lunghi (anche di 10-12 ore, ndr)” e che “stare a lungo e continuamente in contatto con persone potenzialmente infette aumenta il rischio di diffusione del coronavirus”. Sì, è proprio il tipo di lavoro che è pericoloso.
Tutto questo mentre i concorrenti, i marchi legati alla cosiddetta non-carne, fanno affari d’oro, con vendite in crescita di quasi il 180% (analisi Nielsen, sempre alla fine di maggio) e alcune “mosse” pensate proprio per approfittare ulteriormente della situazione: Beyond Meat ha ridotto sensibilmente i prezzi dei suoi burger sul mercato americano (da 2,42 a 1,60 dollari ciascuno) e Impossible Foods ha messo la spedizione gratuita sui suoi prodotti, consegnati a casa entro 2 giorni dall’ordine.
La contromossa dei produttori: robot al posto delle persone
Le strade per risolvere questo problema nel problema sono principalmente due: convertire le aziende nella creazione di altri tipi di cibo, che sia a base vegetale o attraverso l’ingegneria genetica, creando la domanda per nuove capacità e specializzazioni, cosa che agirebbe come “moltiplicatore” per la nascita di nuovi posti di lavoro oltre a quelli direttamente collegati alle aziende (per il settore alimentare, le stime dell’Economic Policy Institute calcolano che per ogni 100 nuovi posti se ne avrebbero altri 230 in qualche modo connessi); oppure impiegare sempre meno dipendenti umani e utilizzare i robot.
Entrambe le soluzioni sono già applicate, per quanto possa sembrare incredibile (soprattutto la seconda): vicino alla città danese di Horsens, in quello che è uno dei più grandi impianti europei di macellazione, 18mila maiali al giorno vengono uccisi e preparati dalle macchine per confezionamento e vendita. Succede nello stabilimento della Danish Crown (che si può “visitare” dal sito slaughterhouse danish crown), dove i robot fanno gran parte del lavoro sporco: con laser a infrarossi misurano le dimensioni degli animali, ne svuotano gli intestini, fanno a pezzi le carcasse, rimuovono gli organi interni e così via, tutto con il minimo coinvolgimento delle persone. Anche emotivo.
Questo ha permesso alla compagnia di avere pochissimi casi di coronavirus (meno di 10 su 8mila dipendenti totali) e pure di non interrompere o nemmeno ridurre la produzione, che è la ragione per cui il suo esempio sarà probabilmente presto seguito da altri, portando innovazione in un settore in cui sinora l’innovazione consisteva nell’aggiungere sempre più lavoratori sottopagati in una sorta di catena di montaggio (dis)umana, tutti accanto gli uni agli altri, così da incrementare a dismisura il numero di capi macellati quotidianamente.
Insomma, se l’idea è quella di una catena di montaggio come per le automobili, quella catena di montaggio dev’essere molto smart. E pure capace di adattarsi agli imprevisti, un’abilità che le macchine impareranno dai colleghi umani: alla Danish Crown, il futuro lo vedono con una persona e un robot che operano insieme e ben distanziati dagli altri, con il robot che fa gran parte del lavoro, la persona che lo aiuta nel caso in cui resti bloccato e l’operazione di “sblocco” analizzata dall’intelligenza artificiale che governa il robot, così che possa cavarsela da solo la prossima volta in cui affronterà un problema simile.
Quella piantagione con un milione di grilli
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.
Illustrazione di Davide Abbati.