Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
Il genovese Mario Migone fa il pescatore da oltre 30 anni e racconta al Cucchiaio come ha visto cambiare il mare, che cosa si può fare per difenderlo e quali sono le sue ricette preferite. Iniziando da quella del nonno
Mario esce tutti i giorni alle 5 per andare al lavoro, non importa che sia lunedì, martedì, sabato oppure domenica, che piova, sia caldo oppure caldissimo. Sta fuori sino alle 10, sino a mezzogiorno, a volte sino a notte fonda. E quanto tempo stare fuori non lo decide lui o il capoufficio: lo decide il mare. Il genovese Mario Migone fa il pescatore da oltre trent’anni, come suo padre e suo nonno prima di lui, e con “esce tutti i giorni alle 5” s’intende “tutti i giorni in cui il mare lo permette”, perché “si va a pescare quando ci sono le condizioni: usciamo anche con la pioggia, ma se c’è mare grosso no, non possiamo”.
Lo abbiamo incontrato fra i tavoli di Ge8317, un ittiturismo che gestisce insieme con la famiglia all’ingresso del borgo di Boccadasse, sul lungomare di Genova, per farci raccontare da lui non solo com’è fare il pescatore, ma anche se e come è cambiato il suo lavoro e com’è cambiato il suo rapporto con il mare a causa delle variazioni del clima. E anche per farci consigliare qualche ricetta un po’ diversa dal solito, ovviamente a base di pesce.
Ripartiamo dall’inizio: com’è fare il pescatore in Italia? Anzi: com’è fare il pescatore in Liguria, visto che “il nostro mare è diverso dall’Adriatico, per profondità, temperatura, caratteristiche”? La sensazione è che sia un lavoro a misura d’uomo, ben lontano da quello su scala industriale e a ritmi da catena di montaggio praticato nell’Atlantico e ben descritto dal documentario Seaspiracy: “Qui le barche sono più o meno tutte piccole - ci ha raccontato Migone - la più grande è lunga 20 metri, ma la media è fra 7 e 15. Non abbiamo barche enormi come quelle che usano nell’oceano, con celle frigorifero che consentono di stare fuori a lungo e pescare per giorni e giorni, se non in casi rarissimi”. Quello del pescatore in Liguria è un lavoro a misura d’uomo, ma anche è un lavoro duro, se non durissimo: “In provincia di Genova c’è una dozzina di pescherecci e l’età media degli equipaggi supera i 50 anni, perché i giovani questa professione non la vogliono fare più - ci ha detto Migone - È troppo faticoso, c’è pochissimo ricambio generazionale”.
Detto del com’è, vediamo come si fa. Come si pesca in Liguria? “Navigando verso Ponente, perché le correnti portano in quella direzione e dunque il pesce lo cerchiamo andando verso la Francia”. È quello che succede per spada, morone e verdesca: “Si va verso Levante e poi si torna indietro verso Ponente”. Ed è pure quello che succede per il rinomato gambero rosso di Santa (Margherita, a poca distanza da Portofino), che ha ben poco a che fare con la località da cui prende il nome: “Viene pescato fra Genova e Savona, sono solo i pescherecci che arrivano dal Tigullio”. Non il gambero.
Denominazioni e furbizie di marketing a parte, i tipi di pesca sono sostanzialmente tre:
- “in terra”, cioè entro 3 miglia dalla costa, usando le reti monofilo e catturando prevalentemente il cosiddetto pesce stagionale;
- a strascico, cioè entro 6 miglia dalla costa (è quella che si usa per triglie, scampi e gamberetti);
- oltre le 6 miglia dalla costa (per i gamberi, per esempio).
E se il lavoro non è cambiato, o comunque da questa parti è cambiato poco rispetto a quando lo facevano il padre o il nonno di Migone, quello che è cambiato è il mare. Soprattutto in tre modi: “Quando andavano loro, quando io ero ragazzo, si poteva pescare dappertutto, anche alle foci dei fiumi. Ora no”. La colpa è dei depuratori, che paradossalmente avrebbero portato più problemi che benefici: “A Genova ne abbiamo tanti - ci ha ricordato Migone - a Punta Vagno, Vernazzola, Quinto e quando gli passi davanti, te ne accorgi eccome che gli sei davanti”. Perché? “Perché sul fondale è tutto bianco, come fosse bruciato, come sulla terraferma dopo un incendio. E lì non cresce nulla, non c’è pesce, non si pesca nulla”. E colpa degli effetti prolungati nel tempo della clorazione, la procedura più diffusa per la depurazione microbiologica delle acque reflue di origine urbana o industriale ed è un problema che sta cercando di risolvere pure l’Ue, insieme con quello della plastica.
E poi? “E poi oggi nel Mediterraneo ci sono specie che 6-7 anni fa non c’erano, che non avevo mai visto - ci ha raccontato Migone andando indietro nei ricordi - come il pesce serra e il barracuda, che sono predatori e aggressivi. Abbiamo visto pure le orche, una cosa che non era mai successa prima (il riferimento è agli avvistamenti fatti nel mar Ligure fra fine 2019 e inizio 2020, ndr)”. Insomma, non necessariamente meno pesci, ma pesci diversi, che prima non c’erano e in quantità che prima non si avevano: “C’è tantissimo tonno, solo che spesso non possiamo pescarlo” a causa delle quote imposte dell’Unione europea.
E la questione del cambiamento climatico? È vera questa storia che il Mediterraneo è più caldo? “Non so se davvero si stia scaldando - ci ha risposto Migone senza tanti giri di parole - Quello che so è che è sicuramente più agitato di prima, una cosa di cui ci siamo accorti nell’ultimo paio d’anni: abbiamo meno giornate di pesca, perché ci sono più giornate di mare grosso o di forte vento”. Sono quelle in cui non si esce alle 5 e non si va in barca, ma anche in cui non si guadagna.
Ma allora come si fa? Come si fa a continuare a pescare cercando di ridurre al minimo l’impatto delle attività dell’uomo? Come si pratica la cosiddetta pesca sostenibile? Secondo Migone, nel modo in cui la praticano i piccoli pescatori. È ovvio che lo dica lui, però è anche quello che dice il WWF, che sta basando parte della seconda fase della sua strategia Food for Future proprio sul sostegno ai pescatori locali: “In Liguria siamo pochi e abbiamo barche piccole, non siamo fisicamente in grado di portare via dal mare la quantità di pesce tipica della pesca industriale. E anche per lo strascico, che l’Europa vuole ridurre (abbassando le giornate in cui è concesso da 150 a 120 l’anno, ndr), va detto che le nostre reti sono diverse rispetto a quelle che si usano lungo le coste atlantiche. Le nostre sono più corte. E in generale usiamo reti a maglia più larga” per non catturare i pesci troppo piccoli.
Un altro modo, a metà strada fra quello che possono fare loro (inteso come i pescatori) e quello che possiamo fare noi (inteso come i consumatori) è rispettare la stagionalità del pesce, più o meno come si fa con le verdure: fra gennaio e marzo per le seppie, l’inizio della primavera per la palamita, maggio per le acciughe (pescate con le lampare, le barche che possono lavorare in notturna), fra ottobre e gennaio per le orate e così via. E poi dovremmo cambiare specie e smetterla di mangiare sempre gli stessi pesci, che è un’altra cosa che dice pure il WWF e che fa bene sia all’ambiente sia alle nostre tasche: “Branzino, orata e tonno costano tantissimo anche se non c’è scarsità perché c’è tantissima richiesta - ci ha ricordato Migone - Ma la palamita costa la metà (all’ingrosso, meno di 2 euro al kg) ed è buona uguale”.
L’ultima parte della soluzione spetta a noi che compriamo: secondo Migone dovremmo farlo molto meno nei supermercati, dove “il pesce non è mai fresco, perché minimo 1-2 giorni li ha”, e rivolgerci alle pescherie o ai mercati, avendone la possibilità (che dipende anche da dove si abita). Perché è in questi posti che vengono più facilmente rispettate la stagionalità del pesce e la sua vera natura: “Le seppie sono nere e non bianche come le vediamo sui banchi della grande distribuzione. Ce le vendono bianche perché così le compriamo più facilmente”. Insomma, viene fatto con le seppie più o meno quello che viene fatto con il salmone.
Non è finita: Migone ammette che le etichette non sono molto comprensibili e che per aiutarci dovrebbe essere indicata con maggiore chiarezza la zona di pesca (non con coordinate o codici, “che non li capisce nessuno”) e anche aggiunta la data in cui il pesce è stato pescato, così che chi lo compra possa sapere se davvero è fresco come dice chi lo vende.
E poi che si fa, col pesce che abbiamo comprato? Come lo si cucina? Come lo si mangia? Nel suo ristorante, Migone propone molti piatti preparati con quelli che lui chiama “pesci dimenticati”, cioè trascurati, poco richiesti, che rischiamo di perderci e di lasciare indietro. Cosa che però sarebbe sbagliata.
È il caso della già citata palamita, che si può usare per carpaccio o tartare (sul Cucchiaio, noi l’abbiamo preparata… con le caramelle), del lanzardo (chiamato anche pesce cavalla), del “suelo” (noto anche come sugarello) o del morone, un ottimo pesce di profondità che però “non va mai mangiato crudo”. O anche di quella che in Liguria si chiama bettolina, che sarebbe la razza (sì, nel Mediterraneo ci sono pure le razze e le mante) e si può servire in umido (qui la ricetta per farla con le erbette).
E però, quella cui lui è più affezionato è la ricetta della zuppa di pesce come la preparava il nonno: “La facciamo con pesce prete, sarago, tracina, occhiata e bughe e mettiamo dentro tutto, i pezzi interi e pure le spine”. Perché? Perché “la vera zuppa di pesce è buona, ma impegnativa”. Come il mare, del resto.
Si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova ed è nella redazione di Italian Tech
Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
Tante idee buone e gustose senza prodotti di origine animale, da consumare a gennaio, ma anche tutto l'inverno, perché no?
Il Veganuary è il gennaio vegano. Un’organizzazione inglese ci invita a mangiare vegano per un mese. Abbiamo chiesto a una Biologa Nutrizionista se farlo fa... Leggi tutto
In occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione, ecco quali sono e le linee guida e le filosofie da conoscere per seguire correttamente 8 regimi... Leggi tutto
È quello da cui deriva il 57% delle calorie assunte dagli americani e mediamente il 25% di quelle di noi europei, è una droga per il corpo e per il cervello.... Leggi tutto