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Per i produttori di pomodori, costi cresciuti del 1300% rispetto al 2020: “Come se una pizza che due anni fa costava 9 euro, oggi ne costasse 120”, ha detto il numero uno della storica azienda di Parma
“L’industria del pomodoro è un'eccellenza per l’Italia che vale 4 miliardi di euro e dà lavoro a 50mila persone” e che “nel 2021 era diventata la seconda al mondo dopo quella della California e davanti alla Cina”: sono i numeri che Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonima azienda, ci aveva raccontato parlando di quello che la sua compagnia fa per la sostenibilità.
Da allora è passato quasi un anno, e in questi giorni Mutti ha ripetuto quei numeri, aggiungendo altre, preoccupanti informazioni: “La nostra filiera è a gravissimo rischio e uno dei simboli del made in Italy rischia di essere mandato in profonda crisi se non ci sarà un intervento immediato non del prossimo governo (che difficilmente si insedierà prima di metà ottobre, ndr) ma di quello in carica”.
Intervistato in occasione della giornata conclusiva del Meeting di Rimini, Mutti ha ricordato non solo che “i costi del gas per noi sono diventati assolutamente insostenibili”, ma soprattutto che “la filiera del pomodoro ha pochissime possibilità di reazione: le nostre coltivazioni iniziano a metà luglio e finiscono nella seconda metà di settembre, in questo periodo non possiamo né rallentare né fermare la produzione”. Che cosa vuole dire questa cosa? Intanto, che “la raccolta e la trasformazione del pomodoro avvengono tra il 20 luglio e il 20 settembre” e che “per le aziende non è possibile spostare la produzione aspettando un momento più favorevole per confezionare”, come ha spiegato Mutti al TG1. E anche che “molto spesso ci sono contratti blindati (con i fornitori, ndr) che non prevedono questo genere di aumenti”. Da cui non si scappa, insomma.
Di quali cifre si sta parlando? L’imprenditore, che guida l’azienda che la sua famiglia ha fondato nel 1899, l’ha detto chiaramente: “Rispetto all'anno scorso, stimiamo un aumento della bolletta del gas di circa il 4-500%”, ma “se facciamo un paragone con il 2020 parliamo del 1200-1300% in più”. In pratica, “è come se due anni fa una persona fosse andata a mangiare una pizza e l'avesse pagata 9 euro e oggi quella stessa pizza costasse 120 euro”.
Mutti non è ovviamente l’unico a lamentarsi di una situazione che ormai sembra davvero insostenibile: a cavallo di Ferragosto si è parlato tantissimo del caso di La Fiammante, un’azienda della provincia di Salerno che produce passate di pomodoro e conserve, che a luglio ha ricevuto una bolletta del gas da quasi un milione di euro. Rispetto all’anno scorso, è un aumento del 720%: 918mila euro contro i precedenti 120mila.
Mutti ha ricordato che “la filiera da sola non può assorbire tutti questi rincari”, che fra l’altro si stanno concentrando in pochi mesi e in mesi molto importanti e delicati: “Se prima questi fattori esterni incidevano appena per il 2% dei costi totali, nel 2021 sono saliti al 5%, ora sono attorno al 20% e rischiano di essere trasmessi ai consumatori alla vigilia di un possibile rallentamento degli acquisti”.
Che cosa si dovrebbe fare, allora? “Serve un intervento d'urgenza con un ristoro per le aziende, soprattutto quelle legate alla trasformazione del pomodoro, che hanno solo due mesi per raccoglierlo e trasformarlo e ora rischiano di essere spazzate via dai rincari”, ha ribadito Mutti al TG1. E però, serve adesso: “Noi chiediamo misure d’urgenza all’Esecutivo uscente”, perché “bisogna sminare i rincari in bolletta adesso”.
Che è quello che il ministero dell'Economia del governo Draghi sta provando a fare nei suoi ultimi giorni di lavoro: “Ci sono i margini per un nuovo intervento per calmierare gli effetti del prezzo del gas, che ha raggiunto livelli insostenibili”, ha detto ieri il viceministro all'Economia, Laura Castelli. Non con un decreto specifico, che dovrebbe passare per il Parlamento a poche settimane dallo scioglimento in vista delle elezioni, ma più probabilmente attraverso un emendamento al decreto Aiuti Bis, l'unico rimasto pendente a Montecitorio e che potrebbe avere un iter velocissimo entro metà settembre.
Questo per quanto riguarda i ristori per le imprese del terziario (alimentari e non solo, che sono circa 120mila e danno lavoro a 370mila persone), poi c’è tutto il capitolo dei risparmi, che dipende dal ministero della Transizione ecologica. L’idea è quella di ridurre il fabbisogno energetico del Paese: secondo indiscrezioni, le prime a essere interessate saranno le cosiddette aziende interrompibili, cioè quelle che possono spegnere gli impianti per 2-3 giorni senza danneggiare la produzione.
Infine, per rendere più efficienti gli impianti (e dunque ridurre gli sprechi), si pensa a incentivi che favoriscano la manutenzione e l’ammodernamento: il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha parlato di un piano da 2 miliardi di euro che andrebbe a finanziare 101 progetti che puntano alla riduzione (di almeno il 20%) del consumo di energia e anche delle emissioni di gas serra (di almeno il 40%); l’idea è che l'80% delle risorse vadano al Sud e il restante 20% al Centro-Nord.
Come si capisce, il punto non è solo fare qualcosa, ma fare qualcosa in tempi brevi. Per dirla ancora con le parole di Mutti: “Avere una filiera sana è un valore enorme, comprometterla perché c’è una ventata inflazionistica innescata da eventi esterni è rischiare tanto per poco”.
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