Tante idee buone e gustose senza prodotti di origine animale, da consumare a gennaio, ma anche tutto l'inverno, perché no?
Rivedere i vecchi film ci fa ripercorrere l’evoluzione delle nostre sensibilità, anche quelle legate alla cultura gastronomica. Il cibo al cinema è spesso un protagonista: qualche pellicola fa venire l’acquolina in bocca, altre mettono i brividi, ma tutte ci raccontano qualcosa di noi e di come la sensibilità ambientale ha modificato anche la nostra percezione del cibo.
Esprime le emozioni dei protagonisti, completa il ritratto di un personaggio, crea un’atmosfera: sono tanti i ruoli che un piatto o un ingrediente possono ricoprire, nella vita e sullo schermo, perché il cibo non è solo nutrimento per il corpo, ma anche identità e storia. Racconta molto di noi e di come siamo cambiati, ma anche di come, attraverso la tavola, è cambiato il nostro approccio all’ambiente. Ormai sappiamo tutti che la sostenibilità passa necessariamente da ciò che mangiamo, ma i vecchi film ci mostrano che l’attenzione di oggi per l’ambiente è un’acquisizione recente.
Nel nostro articolo Perché nei film americani si mangia così male e perché l’unico che si salva è Iron Man, abbiamo già notato come la cultura alimentare mostrata dai film americani, con poche eccezioni, rispecchi la dieta poco sana degli Stati Uniti, come rilevato dallo studio Nutritional analysis of Foods and Beverages depicted in top-grossing US movies, 1994-2018. Quello stile alimentare è anche una dieta estremamente impattante sull’ambiente ed è largamente presente al cinema, dove sono molti i film a essere ben lontani dalle raccomandazioni degli ambientalisti. Osservare i piatti presenti nei film è un esercizio che ci aiuta a riflettere sui significati etici della tavola, raccontandoci di epoche – che sia quella in cui il film è girato o quella in cui è ambientato – molto diverse da oggi. Ecco qualche esempio.
Nella versione italiana del film del 1967 di Stuart Rosenberg era stata tagliata una scena iconica della pellicola, proprio quella in cui il detenuto interpretato da Paul Newman sfida i compagni di cella, guadagnandone l’ammirazione quando dimostra di riuscire a ingurgitare 50 uova sode. L’effetto stupore era garantito proprio dalla quantità abnorme di uova, un alimento sui cui effetti sulla salute ancora oggi non c’è unanimità, tra posizioni che lo difendono in quanto ricco di nutrienti, dalla vitamina A ai minerali come calcio, fosforo e potassio e ricerche – come una recentissima – che ne evidenziano i rischi legati all’elevato contenuto di colesterolo, tra le altre cose. Comunque sia, 50 è un numero eccessivo per la salute, certo, ma anche per l’ambiente: come tutti i prodotti di origine animale, infatti, anche le uova hanno un elevato impatto. L’impronta carbonica di questa industria – che negli ultimi decenni è cresciuta a dismisura e che oggi produce circa 7 milioni di tonnellate di uova all’anno nella sola Unione Europea – è simile a quella del latte, con circa 2,7 kg di Co2 equivalente per ogni dozzina di uova, a cui si aggiungono i milioni di pulcini maschi uccisi in tutto il mondo. Fortunatamente le cose stanno lentamente cambiando, grazie ad alcuni progetti che sfruttano la tecnologia per determinare il sesso del nascituro ben prima della schiusa delle uova, ma questo settore non può ancora dirsi sostenibile
Lo spreco di cibo è protagonista assoluto di quella che è forse la scena di food fight più famosa della storia del cinema, nel film cult di John Landis con un giovane John Belushi, alla sua prima collaborazione con il regista con cui avrebbe poi lavorato anche al celeberrimo The Blues Brothers (1980). Animal House – una delle commedie americane più celebri in assoluto – rappresenta in chiave comica le faide tra confraternite rivali nell’Università di Faber. Nel film, uscito nel 1978 e ambientato nel 1962, è evidente un rapporto con il cibo decisamente lontano da quello che caratterizza la nostra sensibilità di oggi, una distanza che è ulteriormente acuita da quella, innanzitutto culturale, tra la società italiana dell’epoca e quella americana.
Lo si nota ad esempio facendo caso ai piatti di cui Bluto (Belushi) si ingozza e si riempie il vassoio nella mensa universitaria: tra hamburger a go-go e gelatine verdi non meglio identificate, l’abbondanza di prodotti industriali e poco sani prepara la scena che di lì a poco si scatena: la battaglia con il cibo che coinvolge tutti gli studenti presenti nella sala mensa. Al grido di “Food fight!” da parte di Bluto tutti cominciano a lanciare il cibo che hanno nel piatto, in una lotta di tutti contro tutti in cui chi perde è senza dubbio la parsimonia. Una scena dall’effetto comico nel contesto dell’epoca, ma decisamente disturbante oggi, se si considera che nella sola Italia ogni anno buttiamo tre milioni e mezzo di tonnellate di cibo, che va sprecato nelle varie fasi della filiera, come abbiamo ricordato nel nostro articolo Con tre milioni di tonnellate di cibo sprecato all’anno stiamo distruggendo il Pianeta.
Un malsano hamburger è un personaggio ricorrente in Pulp Fiction (1994), tanto da essere diventato un elemento di culto dentro il film; la resa è così efficace che oggi diversi ristoranti l’hanno messo nel loro menu e online abbondano le ricette per ricreare questo iconico hamburger di un fast food inventato, il Kahuna Burger, appunto, che compare più marginalmente anche in diversi altri film di Tarantino. Sembra un normale cheeseburger, con l’aggiunta di ananas caramellato – si tratterebbe di un hamburger hawaiano – di cui viene rimarcato quanto sia gustoso rispetto ad altri panini.
Il fast food è forse la quintessenza della (discutibile) cultura alimentare statunitense, ma trova largo apprezzamento anche in Europa ed è oggi additato come esempio di cibo insalubre per eccellenza. Ma anche decisamente nemico dell’ambiente: la produzione di un hamburger di carne, infatti, richiede una quantità d’acqua che può arrivare a 2.500 litri e provoca emissioni di gas serra enormi: 60 kg per ogni kg di carne di manzo, la più inquinante in assoluto. Quella del Big Kahuna Burger, insomma, suona oggi come un’esaltazione della carne politicamente scorretta, tanto che possiamo annoverarla come uno degli elementi dello “splatter” tarantiniano. Nonostante l’equazione hamburger-cibo spazzatura non stia certo scomparendo – e a ragione, come vi abbiamo spiegato in Burger veg e burger tradizionale in sfida: qual è più sano? – la nostra percezione sul tema potrebbe presto cambiare con il diffondersi dei burger a base vegetale che imitano in vario modo la carne, come abbiamo approfondito in Sì, il 2020 è stato davvero l’anno della non-carne: ecco perché ora la fanno tutti e cosa succederà dopo. Le alternative alla carne hanno un impatto ambientale nettamente inferiore e i burger vegetali, realizzati con ortaggi, possono arrivare a risparmiare tra il 75 e il 95% d’acqua, oltre il 90% di consumo di suolo e oltre l’80% di emissioni nocive. Chissà che nel prossimo Tarantino non ci sia un “Big Kahuna Impossible Burger”!
Sì, purtroppo per tutti gli amanti del cioccolato, anche Chocolat (e con lui tutti i film ad alto tasso di cacao), non è, per le conoscenze che abbiamo oggi, un film politicamente corretto. Anche se non ne abbiamo ancora una piena percezione, infatti, il cioccolato non è esattamente un alimento green, poiché la crescente richiesta di cacao è responsabile di alti livelli di deforestazione e richiede, per essere soddisfatta, elevate quantità di pesticidi; il cacao inoltre è un alimento che deve essere processato a livello industriale per essere poi gustato e percorre lunghi viaggi per arrivare nelle nostre case. Insomma, l’aura di vizio proibito che circonda il cioccolato nella pellicola di Lasse Hallström è ancora attuale, anche se per motivi diversi.
Per questo, per tutti i golosi che non riescono a rinunciare alla tavoletta dolceamara – in tutti i sensi – è particolarmente importante scegliere il cioccolato prodotto da cacao da agricoltura biologica e certificato Fairtrade, cioè prodotto nel rispetto dei lavoratori e, per quanto possibile, dell’ambiente. Non sappiamo se le praline di Vianne lo fossero, ma sembrano lo stesso molto buone.
Opulenza, abbondanza, grassi, spreco, eccesso: tutto questo è simboleggiato in Marie Antoinette (2006) di Sofia Coppola da torte a più piani ripiene di panna, piramidi di macaron colorati (che pare la regista abbia voluto preparati dalla nota pasticceria Ladurée) e cupcake vaporosi, tripudi di zucchero da cui la regina di Francia si circonda, nelle sue giornate frivole e vuote, apparentemente spensierate. La pellicola della regista statunitense, che non punta a essere una fedele rappresentazione storica, vuole restituirci un ritratto della vituperata Maria Antonietta, sposa adolescente in un Paese straniero, che cerca di trovare il proprio posto nel mondo facendo ricreare una campagna idilliaca e fittizia nel giardino di Versailles. Espressione di un’epoca in cui zucchero e grassi non facevano paura, a dominare il film sono il rosa confetto e il bianco non solo di pizzi e merletti, ma anche della panna e dei dolci: la regina li assaggia, vi affonda di tanto in tanto un dito, dando un morso a un pasticcino per poi passare ad altro.
Questa rappresentazione spudorata dell’eccesso è funzionale al ritratto della vita di una corte completamente scollata dalla realtà, fuori dai confini di Versailles, in una Francia che muore di fame. E di colei che è passata alla storia per aver detto, dei cittadini che non avevano pane, “Che mangino brioches”. Questa è probabilmente una leggenda, ma sembra che Maria Antonietta amasse davvero i dolci. Nel caso del film, a risultare stucchevole, oltre all’opulenza di pasticcini e torte farcite, inno alla sovrabbondanza che prefigura lo spreco, è l’esaltazione di panna montata e burro, ingredienti deliziosi ma non certo amici dell’ambiente, dal momento che i latticini sono un comparto alimentare altamente inquinante. Basti pensare che un bicchiere di latte produce tre volte le emissioni di gas serra degli equivalenti vegetali. Fate voi i conti di quanto avrebbe impattato la corte di Francia oggi, ai tempi dell’allevamento su scala industriale.
Ovviamente anche se “politicamente scorretto” nel rapporto con il cibo rappresentato, non per questo un film risulta meno godibile. Ed è interessante, rivedendolo, apprezzare l’evoluzione della sensibilità con cui ci mettiamo a tavola oggi. Ma non mancano gli esempi positivi: è il caso del film di animazione del 2009 Piovono polpette, diretto da Phil Lord e Chris Miller, che, con la leggerezza di un cartoon, tratta anche temi drammatici e attuali come spreco alimentare ed eccesso di cibo. Il cinema continua a rappresentarci e a rappresentare il rapporto che abbiamo con la tavola e, attraverso di essa, con l’ambiente.
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