Perché nei film americani si mangia così male e perché l'unico che si salva è Iron Man

Secondo uno studio dell’Università di Stanford, condotto su 250 film girati negli ultimi 25 anni, snack, dolcetti, zuccheri e grassi sono fra i cibi più consumati sul grande schermo. Nemmeno i supereroi si salvano, tranne uno

Snack, bibite gassate, zuccheri in eccesso, porzioni giganti, alcolici e pure tanto, tantissimo junk food (se non addirittura cibo ultratrasformato): così si mangia nei film americani, secondo uno studio dell’Università di Stanford pubblicato a fine novembre sulla rivista scientifica Jama.

I ricercatori, guidati dal professor Bradley Turnwald, non nuovo ad analisi del genere, hanno preso in esame il cibo presente nei 250 film di maggiore successo prodotti negli Stati Uniti negli ultimi 25 anni, cioè fra 1994 e 2018. Che cosa ne è emerso? Quello che potevamo immaginare, quello che poteva supporre chiunque sia stato almeno una volta negli Usa, o comunque dall’altra parte dell’Oceano: che gli americani mangiano male, se non addirittura malissimo. E che questa scarsa cultura alimentare si riversa nei loro film. Il problema, con i film, è che tutto questo, tutti questi cattivi esempi, contenuti in pellicole della portata di “Avatar”, “Black Panther”, “Iron Man” e “Titanic”, finiscono per fare il giro del mondo ed essere visti dappertutto. Essere seguiti, anche.

Un po’ di dati: che cosa si mangia e quanto

Per arrivare alle loro conclusioni, i ricercatori hanno selezionato i 250 film americani più visti negli Stati Uniti, cioè quelli che hanno incassato di più al box office, scegliendoli in base alle classifiche dell’Internet Movie Database (sul Cucchiaio lo abbiamo usato per consigliarvi 16 serie tv da non perdere). Poi se li sono guardati. Se li sono guardati tutti uno dopo l’altro, prendendo nota di quello che veniva mangiato, dopo avere diviso i cibi in 11 categorie di crescente “pericolosità” (da cereali e verdure a grassi saturi e zuccheri).

In linea generale, praticamente nessuno rispetta le linee guida del governo federale su una sana alimentazione, a livello di grassi, zuccheri e sale. Nel dettaglio: in un quarto dei film, l’unica fonte di cibo è costituita da snack e dolcetti, nel 94% si vedono cibi a contenuto medio-alto o alto di zuccheri, nel 93% ci sono cibi a contenuto medio-alto o alto di grassi e nell’85% livelli medio-alti o alti di grassi saturi. Ancora: non ci sono abbastanza cibi che contengano fibre e viene bevuto il triplo della quantità di alcolici raccomandabile. Preoccupante, in questo ambito, il fatto che quasi la metà delle bevande presenti nei 250 film oggetto del test fossero alcolici e che addirittura nei film adatti ai bambini, quelli valutati G (il livello più basso nel rating americano), questa percentuale fosse del 20%. Insomma: pure nei film destinati ai più piccoli, quasi un quarto di quello che si beve contiene alcol.

E visto che nei film non si mangia e non si beve praticamente mai per davvero, perché se gli attori lo facessero veramente, in ogni scena, in ogni scena ripetuta, dopo ogni ciak, a fine giornata sarebbero probabilmente nauseati dell’eccesso di cibo, il fatto che le poche volte che si mangia e si beve, si mangino e si bevano alimenti e bevande poco salutari, decisamente non è un buon segnale.

Il problema del Primo Emendamento

Va bene: succede. Ma perché succede questo? Perché nessuno vieta tutto questo? Perché il governo non interviene? Perché sarebbe non-americano, perché sarebbe contro la libertà di espressione, soprattutto perché sarebbe contro il Primo Emendamento. Sì, uno di quelli che sentiamo citare spesso nei film, quello che dice (fra l’altro) che “Il Congresso non promulgherà leggi che limitino la libertà di parola o della stampa”. Ecco, negli Usa la libertà di parola arriva sino a qui, sino a permettere che i produttori possano mostrare nei film più o meno qualsiasi cosa, qualsiasi cibo, compreso il cibo spazzatura, pure a prescindere dal tipo di pubblico cui il loro film è destinato.

Perché il problema sta (anche) qui, negli spettatori, soprattutto i più giovani, quelli più influenzabili da quello che si vede nei cinema: la stragrande maggioranza dei 250 film oggetto dello studio, quasi il 90%, avevano/hanno un rating di livello G, PG o G-13, dunque erano/sono destinati a bambini, bambini accompagnati o ragazzini di almeno 13 anni. E che cosa faranno questi giovanissimi quando avranno visto finire il film? Che cosa compreranno tornando a casa, ammesso che siano andati al cinema? Che cosa vorranno mangiare per merenda o per cena? Perché dovrebbero accettare l’insalata, se il loro supereroe preferito nemmeno sa che cosa sia, l’insalata?

Attenzione: non è un problema commerciale, non è una questione di pubblicità più o meno occulta, del cosiddetto product placement, tanto è vero che oltre l’88% dei cibi visibili nei film sono senza marchio o senza marchio evidente. Per gli americani è proprio un problema culturale: “Questi film mostrano davvero quello che mangiamo qui - ha ammesso Turnwald in un articolo pubblicato sul sito della Stanford University - È uno stereotipo che rafforza le nostre convinzioni di essere nel giusto, che in fondo va bene così”. È un circolo vizioso, insomma: le persone mangiano male, guardano film in cui si mangia male, continuano a mangiare male.

Il confronto con il Regno Unito e l’esempio delle sigarette

È un loop che fra l’altro sottovaluta il potere del cinema di influenzare le masse, come hanno dimostrato i cambiamenti nella società, per quando riguarda per esempio le discriminazioni sessuali, di razza o di genere, provocati anche dai film.

Un modo per provare a uscirne c’è, o almeno per iniziare un percorso che porti da un’altra parte, con buona pace della Costituzione: è necessario regolamentare questo settore. Non lo diciamo noi, lo dicono gli stessi autori dello studio. Anzi, non lo dicono ma lo dimostrano, confrontando quello che succede nel cinema americano con quello che succederebbe nel Regno Unito, dove da tempo è esplicitamente vietato mostrare cibi e bevande poco sane in contesti dove oltre il 25% del pubblico sia composto da persone under 16.

Dal punto di vista del cibo, il contenuto del 70% dei 250 film oggetto dello studio sarebbe stato vietato in Gran Bretagna; dal punto di vista delle bevande va ancora peggio, perché oltre il 90% sarebbe stato bollato come illegale dal governo di Londra (dove, di recente, Boris Johnson dichiara guerra all’obesità e vieta la pubblicità online di junk food).

Insomma, per cibo e alcolici dovrebbe accadere quello che anni fa accadde per le sigarette, prima simbolo dell’essere cool e “giusti” e ora relegate in un angolo, poco inquadrate, praticamente sparite se non fra le dita del cattivo di turno.

Iron Man, la frutta e 5 film dove il cibo fa bene

Sì, la strada è ancora parecchio lunga, talmente tanto che in conclusione del loro studio i ricercatori hanno constatato che pur visionando 25 anni di cinema americano “non abbiamo trovato alcuna prova di alcuna evoluzione da questo punto di vista”. Con qualche piccola eccezione, a dire il vero.

Per esempio, il secondo cibo più mostrato nei film è la frutta. Bene, no? In realtà no, perché la frutta c’è però non si mangia, non la mangia quasi nessuno: è un oggetto di scena, fa parte della scenografia, si vede ma non si tocca. Con un’eccezione nell’eccezione, costituita da Iron Man: man mano che il suo personaggio si evolve dal primo all’ultimo (per ora?) film della trilogia, Tony Stark, interpretato dall’attore Robert Downey Jr., passa dal consumare solo cheeseburger e superalcolici a frutta, verdura e smoothie super salutari (come questo, con asparagi e mela verde).

Noi che non abbiamo Pepper Pots a motivarci e stimolarci a fare meglio, possiamo aiutarci con 5 film che raccontano una storia bella intorno al cibo fatto bene, elencati di seguito in ordine inverso rispetto all’anno di uscita.

In “Soul kitchen”, un uomo gestisce con poco successo un piccolo ristorante ad Amburgo: per lui le cose cambieranno grazie alla musica, all’amore e ovviamente alla buona cucina. Nel cartone animato “Ratatouille”, un topolino sogna di diventare uno chef rinomato: ci riuscirà grazie a due amici umani e grazie al piatto che dà il nome al film.

Una scena del film 'In the mood for love'
La trama di “In the mood for love” parla invece di un uomo e una donna che iniziano a frequentarsi dopo essere stati traditi dai rispettivi partner: non si toccano mai e si amano (anche) attraverso il cibo, preparandone uno per l’altra, facendo la spesa, riempiendosi i piatti. “Mangiare Bere Uomo Donna” è simile, solo che racconta dell’amore filiale, di un uomo che recupera il rapporto con le figlie aiutandosi con il cibo; nel film non si mangia quasi mai, ma si cucina tantissimo, forse perché l’attesa del piacere è essa stessa il piacere. Infine, tornando al tema di come mangiano gli americani, in “Big Night” ci sono due italiani che aprono un ristorante nel New Jersey, trovandosi anche a dover “rieducare” i clienti e a spiegare che no, negli spaghetti non vanno sempre messe le polpette. Perché “qualche volta gli spaghetti amano stare soli”…
Una scena di 'The Big Night'
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

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