Con tre milioni di tonnellate di cibo sprecato all'anno stiamo distruggendo il Pianeta

In Italia gettiamo più di 10 miliardi di euro in cibo sprecato all'anno, danneggiando l'ambiente e il portafoglio. Ma come mai sprechiamo così tanto? E, soprattutto, possiamo evitarlo?

Immaginate di buttare un terzo dei prodotti alimentari con cui riempite il carrello. A fine anno ne risulterebbe una montagna di cibo: in proporzione è quello che succede nel mondo, dove ogni giorno un terzo degli alimenti prodotti non raggiunge la tavola, finendo perduto o sprecato lungo la filiera. Negli Stati Uniti si arriva al 40% del cibo totale, ma il problema non risparmia nessuno, né tra i Paesi più industrializzati né tra quelli più in difficoltà.

Lo spreco alimentare non ha a che fare solo con i sensi di colpa e l’alleggerimento del portafoglio, ma con un problema enorme di risorse naturali e inquinamento. E l’esperienza della pandemia sembra averci fatto prendere coscienza del filo che unisce salute umana e ambientale e che la sorte che condividiamo in tutto il Pianeta è segnata, se non intensifichiamo subito l’impegno in difesa dell’ambiente.

L’urgenza del problema è ormai chiara a tutte le istituzioni, tanto che l’Onu stessa ha proclamato proprio lo scorso anno una Giornata internazionale di consapevolezza sull’argomento, fissata per il 29 settembre, una data che fornisce, a distanza dal 5 febbraio, data in cui si celebra invece in Italia la Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare, un’occasione ulteriore per ricordare che tutti possiamo impegnarci per fare la nostra parte e per diffondere l’informazione sul problema e sulle iniziative che già esistono per risolverlo.

Italiani sempre più attenti

Purtroppo questo non significa che siamo degli accorti consumatori. Le ultime rilevazioni disponibili sullo spreco reale indicano, infatti, un totale di oltre 3 milioni e mezzo di tonnellate di cibo buttato annualmente in Italia, cioè circa 100 grammi al giorno pro capite: praticamente un bel piatto di pasta per ogni singolo cittadino italiano. Gran parte di questi sprechi, da noi come negli altri Paesi industrializzati, avviene a livello privato, tra il carrello della spesa e la tavola: sprechiamo soprattutto lasciandoci attrarre dalle offerte apparentemente convenienti, che ci spingono ad acquistare prodotti di cui non abbiamo reale bisogno e che finiscono per languire in fondo al frigorifero fino alla data di scadenza; ma anche non organizzando correttamente dispensa e frigorifero (su questo è sempre utile un ripasso, con i consigli che vi abbiamo dato in Come conservare al meglio gli alimenti nel frigorifero in 10 semplici mosse) e non verificando le date di scadenza.

La sensibilizzazione funziona, come già dimostrarono i risultati del 2020. L’anno scorso, infatti, ha fatto segnare dei passi avanti nella lotta agli sprechi alimentari, come rilevano i primi dati – incoraggianti – diffusi dall’Osservatorio Waste Watcher, che presenta oggi il suo rapporto dedicato all’Italia e secondo cui nel corso del 2020 nove italiani su dieci hanno maturato un’attenzione crescente nei confronti dello spreco di cibo. Già lo scorso anno nel nostro Paese per la prima volta lo spreco alimentare aveva segnato un’inversione di tendenza, facendoci risparmiare il 25% della cifra spesa l’anno precedente in cibo che non ha mai raggiunto il nostro piatto e nel 2021 sembra confermarsi la tendenza a una maggiore attenzione a quanto e cosa mettiamo a tavola (come vi abbiamo spiegato con l'articolo Mangeremo meno, mangeremo meglio: ecco perché ridurre è la parola chiave del 2021).

Questa mole di cibo sprecato a livello domestico pesa sul bilancio famigliare poco meno di cinque euro a settimana, una cifra apparentemente irrisoria, che però a livello nazionale raggiunge i 6,5 miliardi di euro annui e che, sommati agli sprechi che avvengono prima ancora di arrivare a casa dei consumatori – e cioè quelli che riguardano la filiera di produzione e distribuzione, arrivano a 10 miliardi di euro. Una bella cifra, che pesa non solo sul bilancio famigliare e aziendale, ma anche sull’ambiente, oltre a rimarcare le inefficienze e le diseguaglianze di un sistema mondiale in cui miliardi di persone non hanno un accesso sicuro al cibo e altri si permettono addirittura di buttarne.

Nei Paesi in via di sviluppo, infatti, dove la sicurezza alimentare non è affatto garantita – basti pensare che 690 milioni di persone al mondo soffrono la fame e altri tre miliardi non possono permettersi un’alimentazione regolare – le famiglie stanno ben attente a non sprecare cibo, tanto che il food waste a livello domestico è prossimo allo zero (dati Fao). Il danno avviene, invece, soprattutto a livello di trasporto, che si svolge spesso in condizioni non adeguate, e di conservazione, dove è carente o assente la catena del freddo e le condizioni non permettono un buon mantenimento delle materie prime e dei prodotti, che si rovinano e finiscono così per essere buttati.
Il grafico Fao indica la percentuale di spreco alimentare globale per prodotti

Quanto inquina quello che (non) mangiamo

Poiché quello che mangiamo ha un notevole impatto ambientale (come abbiamo ricordato con Quello che mangiamo è quello che inquiniamo), per il Pianeta tutto questo si traduce in un danno immenso in termini di energia impiegata per coltivare, processare e distribuire gli alimenti – magari prodotta a partire da fonti fossili e quindi altamente inquinanti – e di acqua e terreni consumati inutilmente. Un ulteriore problema, a cui si pensa poco, è rappresentato poi dalle emissioni di metano prodotte dagli alimenti gettati in discarica. Così, complessivamente, tra le emissioni legate alla produzione alimentare e i cibi marcescenti, gli sprechi alimentari mondiali equivalgono a 3,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.

Il problema è quindi ambientale – oltre che etico – e, tra agricoltura e allevamento, dà un grosso contributo anche alla deforestazione. Basti pensare che ridurre gli sprechi alimentari di una percentuale tra il 50 e il 75% da qui al 2050 consentirebbe di risparmiare tra le 10 e le 18 gigatonnellate di anidride carbonica. Le conseguenze sono così grandi e urgenti che l’Onu ha inserito la soluzione degli sprechi alimentari tra i traguardi fissati per raggiungere i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030.

Fortunatamente – un po’ per necessità, un po’ per sensibilità ambientale – stiamo sviluppando una crescente consapevolezza della connessione fra spreco alimentare e salute dell’ambiente e dell’uomo. Resta ora da capire (ed emergerà dai dati odierni) in che misura l’esperienza della pandemia abbia influito sull’andamento degli sprechi. Se è vero che a livello globale le restrizioni agli spostamenti internazionali hanno contribuito ad aumentare gli sprechi lungo la filiera, la situazione emergenziale potrebbe aver aumentato la consapevolezza dell’importanza della difesa dell’ambiente. Le ristrettezze economiche legate a cassa integrazione e chiusura delle attività potrebbero averci resi più attenti e, nel periodo più duro del lockdown, molte famiglie hanno fatto propria la buona abitudine di andare al supermercato con la lista della spesa, per ridurre il tempo trascorso fuori casa.

La grafica mostra i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile formulati dall'ONU per il 2030

Le buone pratiche: recuperare l’invenduto

Fortunatamente a darci una mano a ridurre gli sprechi ci sono diverse iniziative interessanti che si occupano di recuperare le eccedenze alimentari. Per approfittarne non c’è bisogno di essere dei temerari dumpster diver, coloro che si “tuffano” nei cassoni fuori dai supermercati dopo l’orario di chiusura per recuperare gli alimenti commestibili ma scartati perché prossimi alla scadenza o perché in una confezione rovinata. Dalle associazioni benefiche che recuperano e distribuiscono la merce invenduta alle app che permettono di acquistare a prezzo ridotto le rimanenze di negozi, mercati e fornerie (un esempio interessante è Too Good To Go, di cui abbiamo parlato ieri), le iniziative sono molte e appetitose.

I fronti su cui affrontare il problema sono molti: vanno migliorate, ad esempio, la conservazione e la logistica a livello industriale. Ma vanno anche stabilite nuove regole sugli standard estetici per frutta e verdura, che oggi, soprattutto nella grande distribuzione, escludono dalla vendita frutta e verdura non perfettamente conformi agli standard di dimensione e regolarità della forma, anche se perfettamente commestibili, gustose e genuine. Il problema, cioè, non può e non deve ricadere unicamente sulle spalle e sulla coscienza dei cittadini.

Allo stesso tempo, però, tutti noi possiamo fare qualcosa, cominciando a prestare più attenzione quando facciamo la spesa e quando cuciniamo. Alcune tra le azioni da mettere in atto subito per fare la nostra parte sono, ad esempio, aderire alle campagne di sensibilizzazione e approfondire le informazioni sul tema. Ma, soprattutto, possiamo combattere lo spreco alimentare tra i banchi del mercato e i fornelli, armati di lista della spesa e ricette creative, ricordando che ridurre gli sprechi alimentari è il modo migliore per garantire più cibo per tutti e allo stesso tempo per ridurre le emissioni dannose e il consumo di suolo. Perché la difesa dell’ambiente, nel nostro piccolo, può essere anche molto gustosa.

Articolo di Silvia Granziero

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