Tante idee buone e gustose senza prodotti di origine animale, da consumare a gennaio, ma anche tutto l'inverno, perché no?
“Siamo arrivati al punto che la bottiglia che contiene la passata di pomodoro vale più del pomodoro”, ci ha detto Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti. Ecco perché, e come provare a spendere meno
Siamo “in mezzo a una tempesta perfetta”, ci aveva detto a fine gennaio Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, per spiegarci perché stavano aumentando i prezzi di più o meno tutto quello che mangiamo. Il problema è che questa tempesta non sta passando e anzi sta peggiorando e che si stanno aggiungendo difficoltà su difficoltà: “Per quanto possa sembrare incredibile, per quanto nessuno si aspettasse che potesse accadere davvero, ci siamo accorti che nel mondo moderno e nel cuore dell’Europa può ancora scoppiare una guerra, con tutte le conseguenze che ha”.
A parlare è Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, con cui abbiamo fatto una lunga chiacchierata per capire quali siano queste conseguenze sul cibo e anche provare a immaginare come uscirne, che cosa possono fare i governi (quello italiano, soprattutto) e che cosa possiamo fare noi consumatori per ridurne la portata.
Fra le conseguenze c’è il fatto che "siamo arrivati al paradosso che, in una bottiglia di passata di pomodoro, il vetro della bottiglia costa più del pomodoro che si trova all’interno”, ci ha detto Bazzana per farci capire la gravità del problema. Insomma, il contenitore vale più del contenuto: “Succedeva già prima, ma ora succede di più e con maggiore intensità”. E succede anche per altro: “In una retina di clementine, costa più il materiale plastico per fare la retina di quanto costino le clementine”. Ancora: “Il latte viene pagato ai produttori 38/39 centesimi al litro, ma oggi farlo costa 46 cent/litro”. Insomma: noi lo paghiamo di più e gli agricoltori vanno in perdita, perché questi soldi non necessariamente rientrano nelle loro tasche.
È colpa delle confezioni, del fatto che i materiali usati per farle e l’energia consumata per farle costano entrambe di più. Succede per tantissimi alimenti: “Le confezioni piccole, le cosiddette confezioni da single, sono più care, perché il prezzo del materiale ha un’incidenza maggiore - ci ha chiarito ancora Bazzana - Un vasetto di yogurt da 125 grammi è meno conveniente di uno da 500 grammi, così come un burro da 500 grammi sarà meno costoso di una scatola di burrini da 10-20 grammi, con differenze anche di 2-4 euro/kg”.
Il punto è che “sui mercati c’erano tensioni già evidenti, fra il costo dell’energia in aumento, la corsa all’accaparramento delle materie prime fatta dalla Cina, i problemi a livello di logistica e spostamento delle merci - ci ha ricordato Bazzana - A questo si sono aggiunti altri due fattori, come il rallentamento della produzione di alcune materie prime e, nel nostro Paese, i recenti scioperi degli autotrasportatori”. Qualche esempio? “Si è ridotta la produzione di molti materiali usati dall’industria alimentare, come banda stagnata (serve per i barattoli, ndr), vetro, acciaio e cartone, ed è successo perché la pandemia ha in qualche modo disallineato i Paesi, colpendoli in momenti diversi, come un’onda: alcuni erano fermi a causa dei lockdown mentre altri ripartivano e avrebbero avuto necessità di quei componenti. Che però non venivano prodotti, o venivano prodotti molto meno”.
Poi, in Italia, la questione degli scioperi di fine febbraio: “Con l’85% delle merci che viaggia su strada, il blocco dei tir ha provocato gravi danni, con prodotti deperibili come frutta, verdura, funghi e fiori fermi nei magazzini a marcire e il rischio concreto di avere scaffali vuoti”, aveva ricordato Coldiretti. Al momento le manifestazioni sono sospese, ma se ripartissero, il problema potrebbe avere ripercussioni anche sulle esportazioni: banalmente, se i camion non viaggiano, le merci non arrivano all’estero. Qui, uno dei nodi da sciogliere è anche la cronica carenza nel nostro Paese di infrastrutture adeguate per il trasporto dei beni di consumo, che porta a un costo medio di 1,12 euro per chilometro, che non solo è più alto di Francia e Germania (rispettivamente, 1,08 e 1,04 euro/km), ma addirittura è il doppio di quello che si paga in Lettonia, Romania o Polonia.
Tutto questo ha effetti anche economici su quello che mangiamo e si aggiunge alle conseguenze negative provocate dall’aumento del costo dell’energia e dei materiali per gli imballaggi.
Come si capisce, il problema sembra concentrato soprattutto nel packaging, dunque “meglio puntare, se non sullo sfuso (parlando di frutta e verdura, ndr), sull’acquisto a cassetta, che fa risparmiare”, e anche “meglio le confezioni famiglia, che costano meno al chilogrammo e sono decisamente più sostenibili e meno inquinanti”.
Ancora: “Dobbiamo scegliere prodotti nazionali e cercare di ragionare sul medio/lungo periodo e immaginare quali conseguenze avranno le nostre scelte, dobbiamo chiederci da dove viene quello che compriamo, non solo per quanto riguarda il cibo, ma più o meno per tutto, per l’abbigliamento, per l’elettronica e così via”, ci ha detto Bazzana. Che poi ci ha fatto un esempio pratico: “È inutile stupirsi oggi del fatto che praticamente non ci sono limoni italiani e chiedersi il perché, quando per anni li abbiamo comprati all’estero, tanto da spingere chi li coltivava a smettere di coltivarli, con la produzione dimezzata rispetto agli anni scorsi”.
In sintesi: dobbiamo smetterla di pretendere di avere tutto in qualsiasi mese dell’anno e smetterla di rincorrere solo ed esclusivamente il prezzo più basso possibile. È un discorso che vale anche per le aziende, e questo ci porta al prossimo punto.
A Bazzana non abbiamo chiesto quando finirà la fase di emergenza: sarebbe stata una domanda sciocca, perché una risposta al momento non c’è. Gli abbiamo però chiesto che cosa dovrebbe fare il governo italiano per evitare che in futuro il Paese si trovi di nuovi in una situazione del genere: “Serve più attenzione alla produzione interna, che va incentivata - ci ha risposto - L’Italia dev’essere più autosufficiente, perché se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato è che dobbiamo essere in grado di farci da soli non solo il cibo, ma pure i microchip, le mascherine, i vaccini e le medicine”.
Questo, nonostante che il nostro Paese potrebbe probabilmente esserlo, autosufficiente: “Produciamo tanto cibo, ma tanto ne esportiamo - ci ha ricordato Bazzana - Accade per la pasta (il 50% va all’estero, ndr), per farine, dolci, prodotti a base di frumento e ortofrutta”. E anche tantissimo ne importiamo: “Compriamo fuori il 53% del mais utilizzato per i mangimi nella filiera zootecnica, cioè per nutrire gli animali che negli allevamenti servono per produrre carne, latte e formaggi”. E se il suo costo aumenta, aumenta il costo dei cibi collegati.
Va bene, ma come si incentiva la produzione interna? “Con quelli che Coldiretti chiama contratti di filiera: vanno programmate le produzioni, è necessario guardare al mercato locale e al territorio. Le aziende (e noi consumatori, ndr) non devono cercare solo il prezzo basso all’estero, ma accettare un prezzo ragionevole delle materie prime, che combini le esigenze di profitto loro con quelle dei produttori”.
E poi? “È necessario aumentare la produzione di energia entro i confini nazionali, perché non possiamo essere così tanto dipendenti dall’estero: speriamo davvero che a fine marzo venga pubblicato il bando con i fondi per installare i pannelli solari sui tetti di stalle, magazzini e capannoni, perché per gli agricoltori sarebbe una manna dal cielo”. In tutti i sensi, e non solo per loro.
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