Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
Intervista a Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, per capire come siamo finiti in questa situazione e quale futuro ci aspetta. E se davvero “il peggio deve ancora venire”
La più nota Legge di Murphy dice che “se qualcosa può andar male, lo farà” o che “se un congegno meccanico si rompe, lo farà nel peggior momento possibile”. Ecco, quello che sta succedendo con l’aumento del costo delle materie prime, che si riflette sull’aumento dei prezzi di più o meno tutto quello che mangiamo, è che “tutto quello che poteva andare storto, è andato storto”. A dircelo, senza tanti giri di parole, è stato Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, associazione legata a Coldiretti e nata 4 anni fa per mettere insieme il mondo dell’agricoltura e quello dell’industria alimentare.
Ci siamo rivolti a lui per capire che cosa sta succedendo e che cosa succederà, se questi problemi si potevano in qualche modo prevedere e anche come si possono risolvere. Andiamo con ordine, anticipando però che purtroppo questa storia non ha un lieto fine (almeno per il momento) e che secondo Scordamaglia “non abbiamo ancora visto il peggio”, perché siamo “in mezzo a una tempesta perfetta” che “negli ultimi 100 anni non si era mai verificata prima” ed è dovuta soprattutto a 4 ragioni. Vediamole di seguito.
1 - La questione climatica
Il primo motivo un po’ lo potevamo immaginare, perché soprattutto negli ultimi due anni l’abbiamo capito bene e perché lo scorso ottobre ce ne aveva parlato anche Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, già allora affrontando il discorso dei rincari del cibo: a causa dei cambiamenti climatici e della siccità, i raccolti sono stati scarsi, o comunque più scarsi rispetto alle stime negli Stati Uniti, in Canada e in Russia, che restano i grandi granai del mondo. E che ora sono mezzi vuoti: “La produzione di grano e cereali è andata a picco, e i prezzi si sono ovviamente impennati”, ci ha detto Scordamaglia. In cifre: nel 2021, il costo dei cereali e della soia è salito del 30-40% rispetto al 2020, quello del mais è aumentato del 60-70%, quello del frumento in certi casi anche dell’80%.
2 - La questione politica
Un’altra cosa brutta che è successa, nel momento peggiore in cui poteva succedere, è che questa situazione ha portato all’intensificazione di alcuni fenomeni che erano già in atto, come la corsa all'accaparramento, perché ognuno (ogni Paese, cioè) pensa per sé e poco importa degli altri: “Per i primi 6 mesi del 2022 - ci hanno rivelato da Filiera Italia - la Cina si è comprata il 70% del mais mondiale, il 60% del riso e il 50% del grano”. Capita questa cosa? Non solo queste materie prime scarseggiano, ma c’è chi se le è già prese quasi tutte.
Inoltre, è cresciuto ulteriormente il costo dell’energia, anche a causa delle tensioni internazionali: “Rispetto al 2019, il prezzo del gas per le imprese alimentari italiane è salito del 730%, contro il +60% subìto dalle imprese americane nello stesso periodo”. Perché questa enorme discrepanza? “Perché su questo l’Italia dipende troppo dall’estero e perché negli anni non siamo riusciti a diversificare le nostre fonti di approvvigionamento". A inizio anni ‘90 abbiamo quasi smesso l’estrazione di gas nel nostro Paese e anche ci riforniamo praticamente da un unico fornitore, che è la Russia. Ed è immaginabile che l’attuale crisi ucraina non faciliterà le cose, da questo punto di vista.
Infine, sempre legato a questo: “È cresciuto ancora, arrivando praticamente a raddoppiare, il costo di alcuni materiali usati dall’industria alimentare, come carta, cartone, vetro e plastica”.
3 - La questione logistica
Negli ultimi due anni, cioè dall’inizio del 2020, è aumentata tantissimo la spesa per mandare la merce da un lato all’altro del mondo. Nella pratica, è aumentato il costo dei container: “Due anni fa, spedirne uno da Oriente a Occidente, da Singapore a Genova o Rotterdam, i due principali porti europei, costava circa 2500 euro”, ci ha spiegato Scordamaglia. E oggi? “Oggi siamo vicini a quota 12mila”. I container disponibili e liberi di viaggiare sono pochissimi, e quelli che ci sono vengono fatti pagare tantissimo, complicando la vita a chi vive di import-export e di chi banalmente ha bisogno (per esempio) di materiali per imballaggi e confezionamento dei prodotti.
4 - La questione del coronavirus
In questa equazione non poteva chiaramente mancare la variabile pandemia, che due anni dopo continua ad avere effetti negativi: “Il continuo stop-and-go imposto alla produzione dalle norme e dalla burocrazia impedisce alle aziende italiane di stare dietro alla domanda come magari potrebbero fare”, ci ha detto ancora il consigliere di Filiera Italia. In che senso? “Nel senso che a oggi più o meno il 99% delle persone nella filiera alimentare sono vaccinate, ma fra regole e regolette su quarantena, sorveglianza, tamponi e così via, c’è sempre fermo il 20-30% dei lavoratori”.
Come si vede, Scordamaglia non scherzava e non esagerava, dicendo che “tutto quello che poteva andare storto, è andato storto tutto insieme”. Il problema è che secondo lui “il peggio deve ancora venire”, nel senso che noi consumatori non abbiamo ancora visto gli effetti concreti di questa situazione: “Lo scorso novembre, Istat ha certificato che i prezzi al consumo sono saliti del 2-2,5%, contro un’inflazione di poco inferiore al 4%, nonostante che i costi di produzione degli alimenti siano saliti in certi casi anche del 60-80%”. Insomma, i rincari che abbiamo visto sin qui andando a fare la spesa sarebbero poca cosa e solo un anticipo di quello che ci aspetta: “Sinora la grande distribuzione è riuscita a calmierare i prezzi dei prodotti, tenendoli più o meno fermi, ma presto li dovrà adeguare, perché già ora li sta pagando di più ai fornitori. E se non lo facesse, molti di quei fornitori andrebbero a gambe all’aria”.
Secondo Scordamaglia possiamo aspettarci ulteriori rincari nell’ordine del 5-15% rispetto a quelli già visti sinora. Che decisamente non sono poca cosa: a fine gennaio, Coldiretti ha ricordato che sono aumentati del 30% i costi per produrre il grano per la pasta, del 12% quelli dell’olio extravergine d’oliva (come si diceva prima, colpa anche dei rincari di vetro e carta necessari per imbottigliamento e confezionamento), di quasi il 30% il prezzo delle pere e di quasi il 10% quello dei frutti di mare, giusto per fare un paio di esempi.
Gli ultimi due casi, soprattutto quello delle pere, toccano parecchio da vicino il nostro Paese e sono legati a doppio filo alla prima delle 4 ragioni della “tempesta perfetta” che stiamo attraversando: il cambiamento climatico. Sempre lo scorso ottobre, su Cucchiaio.it ricordammo che a causa dell’imprevedibilità della natura c’erano alcuni cibi cui rischiavamo di dire addio, o che saremmo stati costretti a pagare molto caro. E le pere erano fra questi, a causa di una produzione crollata del 69% rispetto ai 5 anni precedenti.
L’esempio è però utile per capire come l’Italia stia affrontando questa crisi e se davvero, come forse si può supporre, stia resistendo meglio grazie alla grande varietà di cereali e frutta e verdura autoprodotte, che possono fare parte della nostra alimentazione. E magari sostituire cibi più cari e che arrivano dall’estero. Purtroppo non è così: “Ci sono costi inevitabili e rincari cui non possiamo sottrarci - ci ha detto Scordamaglia, ancora con apprezzabile franchezza - come quelli legati ai materiali usati per imballaggi e confezioni”. Non solo: “Le imprese alimentari italiane hanno bisogno di tantissima energia per lavorare, per tenere accesi i frigo e gli impianti di raffreddamento, per alimentare i trattori e gli altri macchinari (il costo del gasolio è salito del 50%, ndr), per fare funzionare le serre usate per la coltivazione”. E su questo, la dipendenza dall’estero di cui si diceva prima non è certo d’aiuto.
E però qualche aspetto positivo c’è: “Per la prima volta da anni, grano e latte prodotti in Italia costano meno rispetto a quelli che arrivano da fuori e ora sono competitivi sui mercati esteri”.
Ecco, puntare sul made in Italy sembra decisamente il modo per (provare a) uscire da questa complicata situazione: “Dobbiamo arrivare a quella che noi da anni chiamiamo autosufficienza alimentare, è necessario potenziare la produzione e sostenere le nostre imprese”, ci ha detto Scordamaglia. Secondo cui le misure messe in campo sin qui dal governo sono poca cosa: “La copertura di 1,7 miliardi stabilita dal Dl Sostegni è quasi una presa in giro” per le nostre 740mila aziende agricole e le oltre 70mila industrie alimentari. Secondo Filiera Italia è necessario trovare soluzioni strutturali, concrete e di lungo periodo, come appunto “aumentare l’estrazione dei nostri giacimenti già attivi, che in 15 mesi potrebbero raddoppiare la capacità produttiva e ridurre l'esorbitante bolletta energetica dall’estero”. Che, per dare un’idea delle cifre in campo, si aggira sugli 88 miliardi di euro, cioè il doppio rispetto al 2021 e il quadruplo rispetto al 2020.
Poi anche, come già si sta provando a fare: ridurre i cosiddetti oneri di sistema sulle bollette (anche per stimolare i consumi), tassare in maniera più efficace gli extra profitti e diversificare le fonti di approvvigionamento di energia.
E noi consumatori che cosa possiamo fare? Spendere di più, che sembra un controsenso ma in realtà ha un senso: “Dobbiamo, ora più che mai, comprare italiano, pagare magari qualche euro in più per quello che mangiamo, così da dare sostegno alle nostre aziende e permettere loro di sopravvivere. E sul lungo periodo gli effetti si vedranno”. Dobbiamo, come su queste pagine abbiamo scritto spesso, puntare non sul prezzo basso ma su un prezzo giusto, che permetta a noi di avere cibo di qualità e a chi lo produce di poter guadagnare e pagare correttamente dipendenti e collaboratori. Un prezzo sostenibile, inteso nel senso più ampio possibile.
E poi anche dobbiamo sperare che i raccolti del 2022 siano abbondanti, o comunque più abbondanti rispetto a quelli dell’anno scorso. Ma questo ha a che fare più con la fortuna che con altro, quindi meglio concentrarci sul resto.
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