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I monaci e il formaggio vecchio
Formaggio vecchio. Così i monaci dell'abbazia di Chiaravalle chiamarono, nel 1135, il formaggio che avevano iniziato a produrre in apposite caldaie all'interno dei loro monasteri. Erano gli anni in cui i monaci Cistercensi e Benedettini godevano dei frutti del disboscamento della pianura e delle grandi opere di bonifica delle zone acquitrinose e insalubri attorno al fiume Po. Le ampie pianure così create vennero ben presto occupate da prati e pascoli, luogo ideale per l'agricoltura e per l'allevamento, soprattutto di bovini. La necessità di conservare la grande quantità di latte prodotta, di gran lunga superiore alle necessità immediate della popolazione, spinsero i monaci a trovare un modo efficace per poterlo consumare anche a distanza di tempo. I religiosi, già da tempo, producevano formaggelle, che però avevano il limite di durare poco. Utilizzando il calore per favorire lo spurgo della cagliata, ottennero un prodotto dalla consistenza maggiore, ma, soprattutto, in grado di stagionare e di durare molto più a lungo nel tempo.
Nacque così il formaggio vecchio, o meglio, il caseus vetus. Il latino, però, non era molto conosciuto dal popolo, che dovette ben presto inventarsi un altro termine per identificare questo nuovo prodotto.
Formaggio di grana
Formaggio di grana era il termine perfetto, in grado di identificare la particolarità della sua pasta, compatta ma, al tempo stesso, granulosa. Nel tempo, divenne semplicemente grana. Si iniziò, ben presto, a parlare di grana lodigiano, probabilmente il più antico di tutti, milanese, parmigiano, piacentino, mantovano. Tutti termini che indicavano, in modo preciso, il territorio di provenienza, ma che, successivamente, persero di importanza verso un più generale Grana.
Il Grana si fece ben presto conoscere al di fuori delle mura dei monasteri e arrivò fin sulle tavole delle famiglie nobili del tempo, accrescendo, di anno in anno, la sua fama e la sua diffusione.
Tre momenti chiave nella storia del Grana Padano
La storia recente è, invece, legata a tre momenti ben precisi. Il primo è datato 1951, anno in cui, a Stresa, tecnici e operatori caseari, provenienti da tutta Europa, siglarono una Convenzione che fu una vera e propria svolta per il Grana Padano. Si stabilirono, infatti, le norme per la denominazione dei formaggi e indicazioni ben precise sulle loro caratteristiche. Fra i tanti formaggi, si distinse anche quello che al tempo venne chiamato Grana Lodigiano, divenuto, poi, Grana Padano. La normativa italiana arrivò pochi anni dopo: il 30 ottobre 1955, il Decreto del Presidente della Repubblica n.1269 riconobbe le diverse denominazioni sul territorio nazionale, stabilendo i metodi di lavorazione, le caratteristiche merceologiche e le zone di produzione dei diversi formaggi, compreso il Grana Padano.
L'ultimo passo fu il riconoscimento della DOP (Denominazione d'Origine Protetta) da parte dell'Unione Europea, strumento di tutela attribuito solo a quegli alimenti le cui caratteristiche dipendono fortemente dal territorio di origine.
Oggi, il Grana Padano è il formaggio DOP più consumato nel mondo, con una produzione che, nel 2015, si è attestata attorno ai 4,8 milioni di forme e un export di più di 1,5 milioni di forme.
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