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Chi decide cosa è accettabile mangiare e cosa no? A Malmö, in Svezia, un museo mette alla prova i gusti di molti.
Il casu martzu è un formaggio tipico sardo, ma sul Cucchiaio non troverete nessuna ricetta che lo usa. Il perché è presto detto: non è un cibo legale. Si parte da una normale forma di formaggio di pecora o capra, e fin qui tutto bene. Poi però è il turno delle mosche del formaggio, che depongono le uova sulla forma. Le larve crescono al suo interno per alcuni mesi, e trasformano il formaggio in una crema che poi si gusta al cucchiaio. Ma è molto pericoloso ingerire una larva viva, poiché non viene uccisa dagli acidi dello stomaco. Ecco perché è il formaggio è vietato, ma se anche non lo fosse probabilmente molti di noi non lo mangerebbero. Ecco perché il casu marzu (“formaggio marcio”) è esposto al Disgusting Food Museum che si trova a Malmö, in Svezia, assieme a un’ottantina di cibi repellenti provenienti da tutto il mondo.
Fondato nel 2018, il Disgusting Food Museum nasce dall’intuizione del suo curatore Samuel West, che l’anno prima aveva inaugurato sempre in Svezia il museo del fallimento (Museum of Failure, in realtà è una mostra itinerante), rivelatosi un grande successo. Secondo West, l’idea del Disgusting Food Museum è nata dall’attualità. Aveva letto che cibarsi di insetti era, in teoria, molto più sostenibile che mangiare i tradizionali animali di allevamento. E lo stesso discorso vale per la carne coltivata in provetta. Ma se un cibo ci sembra disgustoso, per il sapore o per come è preparato, è chiaro che non lo mangeremo mai. Il museo vuole allora metterci di fronte a oltra 80 sfumature di disgusto, costringendoci a considerare che quello che a noi dà il voltastomaco può essere un piatto prelibato in un'altra parte del mondo, o in un’altra epoca.
Il biglietto del museo è stampato sui sacchetti per il vomito, come quelli a disposizione sugli aerei. E diverse persone sono state costrette usarli in questo modo, specialmente quelli che decidono di provare sul posto alcune delle pietanze. Nel sito del museo troviamo la descrizione di alcuni dei “pezzi forti” in mostra. Lo ttongsul, per esempio, pare fosse un vino coreano usato nell’antichità per scopi medici, preparato facendo fermentare feci di bambini. Ma attenzione: non ci sono in realtà molte prove che sia realmente esistito, e in ogni caso se parliamo di medicina, e non di cibo, nell’antichità i rimedi con questa “materia prima” non erano rari. Il kiviak, invece, viene dalla Groenalndia, e si prepara riempiendo una foca con centinaia di gazze marine: la foca viene ricucita, sigillata col proprio grasso, e gli uccelli al suo interno fermentano nella carcassa per alcuni mesi. Pare che il sapore sia simile a quello del gorgonzola. Il surströmming è una specialità svedese piuttosto famosa, ma poco consumata: sono solo aringhe fermentate, ma il loro odore basta a far mettere mano al biglietto. Un altro formaggio sardo in mostra è il caglio di capretto. Bisogna macellare un capretto dopo l’ultima poppata, togliere il latte che ha ingerito dall’abomaso (lo stomaco dei ruminanti), filtrarlo e rimetterlo nell’abomaso, che intanto è stato pulito. A questo punto si chiude lo stomaco e il latte al suo interno comincia a diventare formaggio grazie al caglio che contiene.
Dopo l’inaugurazione a Malmö nel 2018 anche questo museo è diventato una mostra itinerante, e ha aperto una nuova sede a Berlino. La missione è sempre la stessa, e cioè far capire che il disgusto è culturale. Tutti noi saremmo in grado di mangiare il surströmming se fossimo cresciuti in una famiglia in cui è normale consumarlo. Ma il museo è stato anche criticato, perché una “trappola per turisti” (non troppo diversa dai nostri “musei della tortura”) forse non è la maniera ideale di parlare di un tema complesso come l’intreccio tra cucina e cultura. Il giornalista Lucas Kwan Peterson, che ha visitato a Los Angeles il “museo” nel 2018 ha scritto: “I paesi e le loro cucine sono trattati come monoliti: anche gli Stati Uniti, rappresentati da Pop-Tarts, Twinkies e soda per accennare agli stereotipi sull'obesità e le cattive abitudini alimentari, non la scampano. Ed è qui, forse, che il museo fallisce nell’intento: semplifica eccessivamente, ripete dei cliché, e tutto sembra un po' meschino".
Le immagini sono state prese dal sito ufficiale del Disgusting Food Museum.
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