I segreti di carne stampata e carne “coltivata”: ecco come la fanno quelli che la fanno

I fondatori di 2 start-up spiegano al Cucchiaio come producono la non-carne del futuro, quando arriverà sul mercato e quanto costerà. Spoiler: tantissimo, almeno all’inizio

È l’inizio del 2019, la Stazione Spaziale Internazionale orbita intorno alla Terra. All’interno della Iss, in uno dei moduli che la compongono, i russi di Bioprinting Solutions partecipano a un esperimento insieme con gli israeliani di Aleph Farms e gli americani di Finless Foods per creare bistecche dal (quasi) nulla usando la “Ferrari delle stampanti 3d”, una macchina modernissima chiamata Organ.Aut

La Organ.Aut è talmente potente che la scorsa estate è stata utilizzata pure per creare copie di tessuti umani, ma quella che segue qui sotto non è questa storia. È un’altra storia: è la storia, incredibile ma vera, di qualcosa che potrebbe cambiare il nostro modo di mangiare. Sul Cucchiaio ve l’abbiamo già accennata in parte scrivendo di come la carne 3d e “coltivata” sarebbe presto arrivata sulle nostre tavole (con il pezzo Il futuro della non-carne passa dalle stampanti 3d). Ora abbiamo deciso di approfondirla.

Per farlo, abbiamo raggiunto telefonicamente a Mosca il co-fondatore di Bioprinting Solutions, Yusef Khesuani, e in Israele l’amministratore delegato e fondatore di Redefine Meat, Eshchar Ben-Shitrit. Per farci raccontare come la fanno, questa non-carne fantascientifica, quando potremo mangiarla e pure quanto costerà. Spoiler: costerà tanto.

Dalle seppie (stampate) alle bistecche “coltivate”

I russi stanno già lavorando con gli americani di Kentucky Fried Chicken per arrivare sul mercato con un’alternativa plant-based al pollo, ma con Khesuani abbiamo parlato di altro: “Per fare le nostre bistecche, stampiamo la struttura usando ingredienti vegetali, poi iniettiamo all’interno le cellule animali coltivate in laboratorio per arrivare al prodotto finito e pronto al consumo”. Lo scorso maggio, è esattamente così che sono state create le seppie poi servite in via sperimentale ad alcuni clienti dell’esclusivo ristorante Twins Garden di Mosca.
Insomma: non solo si può fare, ma già si fa. Il problema è che farlo costa, e costa parecchio: “La componente più onerosa del prezzo finale - ha svelato Khesuani - è il composto che permette di alimentare e fare crescere rapidamente le cellule. Al momento, il quantitativo necessario per produrre 1 chilogrammo di carne costa più o meno 2mila dollari”. Quindi è difficile che questa non-carne costi meno di “3-5mila dollari al kg” per il consumatore finale. L’altro problema è culturale e normativo, perché gli Stati dovranno autorizzare questo tipo di cibi per l’alimentazione umana e soprattutto i consumatori dovranno accettare di utilizzarli e abituarsi a farlo. Khesuani è sembrato tranquillo e fiducioso su entrambi gli aspetti: “Le regole variano da Paese a Paese, negli Stati Uniti e qui in Russia sono sicuramente più severe che in Cina, ma al momento non ce ne sono di specifiche per la carne ‘coltivata’. Speriamo che nei prossimi anni qualcosa si muova, magari negli Usa e a Singapore”.

Quanto ai consumatori, “abbiamo ricerche di mercato (però condotte da associazioni abbastanza di parte, come Good Food Institute e Sustainable Food Systems, ndr) che ci dicono che un americano su 3 sarebbe disposto ad acquistare carne ‘coltivata’ e che uno su 5 sarebbe pure disponibile a pagarla più di quella tradizionale”. Ancora: “In Olanda sarebbero pronti a pagarla anche il 40% in più e il 59% dei clienti cinesi e il 56% dei clienti indiani sarebbe molto o moltissimo disposto ad assaggiarla”.

Resta la questione del tempo: Khesuani è convinto che “i primi esemplari delle nostre bistecche saranno pronti in 6-8 mesi (dunque entro la primavera del 2021, ndr)”, anche se “l’effettivo arrivo sul mercato dipenderà ovviamente dalle normative. Puntiamo prima ai Paesi dove siamo in qualche modo già presenti, come Russia a Stati Uniti, magari… in qualche ristorante italiano. Per renderli ancora più esclusivi”.

La via israeliana alla carne stampata

Gli israeliani di Redefine Meat seguono un’altra strada, per certi versi più facile, sicuramente più rapida: “Vogliamo arrivare con la nostra non-carne nei ristoranti più esclusivi di Israele, Francia, Germania e Svizzera entro la fine del 2020 - ci ha raccontato il fondatore della compagnia, Eshchar Ben Shitrit - Se vedremo che la risposta del mercato è buona, siamo pronti a distribuire la nostra tecnologia nel mondo. Abbiamo già avviato i colloqui con alcuni grossisti, anche se supermercati e negozi dovranno attendere”.

Loro la non-carne la stampano solo partendo da ingredienti vegetali: “Usiamo principalmente 3 componenti, che abbiamo chiamato Alt-Muscle (proteine vegetali che arrivano da soia e piselli, ndr), Alt-Fat (grasso vegetale, ndr) e Alt-Blood”, un mix di coloranti naturali che simulano il sanguinamento, come le americane Beyond Meat e Impossible Foods fanno per i loro burger. Il macchinario, è la spiegazione di Ben Shitrit, “stampa il prodotto ‘pieno’, dunque non abbiamo bisogno di aggiungere nulla per dargli struttura e consistenza”; di più: “Il procedimento è molto versatile e facilmente configurabile e bastano pochi clic per creare una bistecca più o meno tenera, con più o meno grasso e così via”.

Inoltre, il fatto che per il prodotto finito non servano cellule animali (“coltivate”, s’intende), abbatte decisamente i costi: “Il prezzo finale di una delle nostre bistecche sarà più o meno simile a quello di una bistecca tradizionale”. Con un ulteriore vantaggio: “Visto che la stampante 3d lavora sempre allo stesso modo per creare un filetto, un controfiletto, una spalla, una fesa o una costata, il prezzo non cambierà al cambiare del taglio di carne richiesto”. Attenzione: questo non significa che questa non-carne avrà tutta lo stesso sapore, ma che la si potrà rendere più magra, con più grasso, più alta, più tenera e più tenace, cambiandone il gusto e la consistenza, ma senza cambiarne il costo.

I consumatori e i gusti del futuro

Quanto alle questioni normative e culturali, Ben Shitrit è rassicurato dal fatto che “nella nostra Alt-Steak non c’è nulla che vada contro gli attuali regolamenti sulla somministrazione di cibo”, cosa che è in effetti vera, perché gli ingredienti sono pressoché identici a quelli dei burger di non-carne che già conosciamo, compriamo, mangiamo (di cui vi abbiamo raccontato con l'articolo Il 2020 e il boom della carne vegetale). Cambia però il modo in cui sono fatti: “Posso capire che oggi l’idea di mangiare una bistecca stampata sembri strana - ha ammesso Ben Shitrit - però penso che fra 100 anni i nostri pronipoti troveranno allo stesso modo strano che allevassimo gli animali per poi ucciderli e farli diventare cibo. Inoltre, l’impatto ambientale di queste pratiche è ormai insostenibile (sul Cucchiaio ne abbiamo scritto in Quello che mangiamo è quello che inquiniamo) e l’unico modo per invertire questa tendenza è affidarci alla tecnologia”.

Secondo il giovane imprenditore, “se riusciremo ad accelerare questo processo e a rendere la non-carne più presente sulle nostre tavole, facendola passare dal 10% di quello che mangiamo nei prossimi 5 anni al 50% nei prossimi 30, avremo raggiunto un grande risultato, facendo bene a noi e all’ambiente”. E pure agli animali.

Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

Illustrazione di Davide Abbati.

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