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Blocco dal 22 gennaio, previsti indennizzi economici per i pescatori. La Regione: “Provvedimento inevitabile, il sovrasfruttamento degli ultimi anni avrebbe portato all'estinzione commerciale della specie”
Ogni anno nel mondo si consumano circa 75mila tonnellate di ricci di mare: secondo i dati della Fao, il Cile è il principale produttore e il Giappone il principale consumatore, mentre in Europa i primi fornitori sono Francia, Islanda, Spagna e ovviamente Italia. Nel nostro Paese se ne consumano oltre 2mila tonnellate l’anno, che arrivano prevalentemente da Puglia, Sicilia e Sardegna. Pure troppo, dalla Sardegna. Talmente tanto che la Regione ha deciso di dire basta.
A partire dal 22 gennaio di quest’anno, e per un periodo di 3 anni, nelle acque dell’isola sarà vietata la pesca dei ricci di mare, come previsto dalla legge regionale 17 del 22 novembre 2021. Perché? Come spiegato dalla giunta, “il fermo è necessario per consentire il recupero degli stock e la ricostituzione della risorsa nel nostro mare, messa a rischio dal massiccio prelievo effettuato negli ultimi anni. Questo sovrasfruttamento, se perpetrato, potrebbe determinare nel breve periodo il collasso della risorsa e l'estinzione commerciale della specie”. Allo stesso tempo, la Regione ha stanziato in totale 2,8 milioni di euro per sostenere economicamente i pescatori subacquei professionali, il cui lavoro sarebbe stato comunque messo a rischio dalla probabile, futura scomparsa dei ricci.
Secondo quanto ci hanno spiegato dalla Regione, il blocco durerà 3 anni, ma “comunque non oltre il 30 aprile 2024”. Perché? Perché la stagione di pesca dei ricci va abitualmente da novembre ad aprile, quindi impedirla sino alla fine di quel mese fa sì che nella pratica si possa effettivamente ripartire solo dal 2025, dando intanto il tempo di valutare la situazione e le conseguenze del fermo.
L’assessore all’Agricoltura, Gabriella Murgia, ha annunciato che nel corso di questa chiusura temporanea “daremo agli operatori la possibilità di svolgere attività di recupero ambientale, come la pulizia dei fondali e la rimozione delle attrezzature da pesca”, e soprattutto “con il coinvolgimento degli stessi pescatori attueremo un piano di monitoraggio scientifico per valutare gli effetti del provvedimento”. Sì, perché scopo di tutto è trovare un punto di equilibrio fra le esigenze di chi lavora nella filiera, quelle dei consumatori e quelle dell’ambiente: ci sono zone del mondo (come alcune coste della Spagna) dove i ricci di mare sono talmente tanti da essere considerati un’infestazione e altre dove sono quasi estinti. Come la Sardegna, appunto.
Che qualcosa andasse corretto, nel nostro approccio ai ricci di mare, era abbastanza evidente: da anni è in vigore il divieto di pescarli, venderli e pure mangiarli fra maggio e giugno, durante il periodo di riproduzione, e però ogni estate arrivano (soprattutto dalla Sardegna) notizie di violazioni e multe. Tre anni fa fece scalpore quanto accaduto in provincia di Alghero, dove la Finanza sequestrò oltre 110 vasetti di polpa, ricavata da circa 25mila ricci. Pescati illegalmente in una zona dove ogni anno se ne pescano legalmente altri 55mila.
Il problema è quello che qui su Cucchiaio.it abbiamo affrontato spesso negli ultimi mesi, anche con l’aiuto del WWF: il mare è in difficoltà, molti stock ittici sono vicini all’esaurimento e molte specie rischiano di sparire. E forse è davvero il caso di dare loro un po’ di respiro e permetterne la ripopolazione, di cui sul lungo periodo beneficeremo anche noi umani, oltre agli animali. Sì: per quanto possa sembrare strano a vederli, i ricci di mare appartengono al regno animale, e anche se non svilupperemo per loro la stessa empatia che (forse) abbiamo sviluppato per aragoste, molluschi e polpi, possiamo comunque fare la nostra parte. Se nei prossimi 3 anni andremo in vacanza in Sardegna, per esempio, potremo rifiutare garbatamente, se qualche ristoratore furbetto ci dirà “lo vuole un bel piatto di spaghetti ai ricci di mare?”.
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