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Lo studio commissionato dal governo britannico ha stabilito che provano sentimenti, dolore, paura e percepiscono il caldo e il freddo. Ma non è detto che questo cambierà le cose in cucina.
Provano dolore, gioia e agitazione, fame e pure paura: come altre specie animali, anche gli invertebrati marini hanno sentimenti. Insomma: aragoste, molluschi, polpi, calamari, gamberi e simili sono esseri senzienti. Questo è quanto ha stabilito lo studio commissionato dal governo britannico a un team di scienziati e ricercatori della London School of Economics and Political Science.
Come su Cucchiaio raccontammo lo scorso luglio, l’intenzione era appunto quella di capire l’architettura neurologica e le capacità di percezione di questi animali. Nel maggio precedente, nel Regno Unito era stato approvato il nuovo Animal Welfare (Sentience) Bill, una legge che introduceva maggiori tutele per gli animali senzienti, ma che il governo riteneva incompleta. Appunto perché mancavano approfondimenti su alcune specie. Da qui l’intenzione di “commissionare una ricerca sulla sensibilità dei crostacei e dei cefalopodi”, per eventualmente “considerare ulteriori protezioni”.
La novità non è da poco: negli allevamenti, nel trasporto da un posto all’altro e anche in cucina, aragoste e simili sono fra gli animali peggio trattati, proprio per quell’idea che “tanto non provano dolore”. Cosa che però adesso è stata dimostrata non vera: più sotto spieghiamo come è stato condotto lo studio (riassunto in un pdf di un centinaio di pagine ), ma prima cerchiamo di capire che cosa potrebbe cambiare nel concreto nel nostro rapporto con gli invertebrati marini.
L'intenzione era probabilmente quella di mettere fine ad alcune pratiche anacronistiche e brutali, come l’asportazione delle chele delle aragoste, dei tendini dei granchi, dei bulbi oculari dei gamberi, la loro vendita e il trasporto da vivi e ovviamente il gettarli in acqua bollente per cuocerli invece di stordirli
prima con una scossa elettrica. Succederà? Verranno presi provvedimenti in tal senso? Non si sa, e probabilmente non nel breve periodo: in un comunicato
diffuso online, il governo di Boris Johnson ha spiegato che “visto che la scienza è stata chiara sul fatto che crostacei e cefalopodi possono provare dolore, è giusto che siano coperti dalla nuova legge”, ma ha anche anticipato che l’esito dello studio “non influirà su alcuna legislazione esistente o pratica industriale come la pesca” e che “non ci sarà alcun impatto diretto sulla cattura dei molluschi o sull'industria della ristorazione”. Invece, “il benessere degli animali sarà ben considerato in un futuro processo decisionale”.
Si dovrà arrivare a un compromesso, insomma. Intanto però è utile capire come è stata condotta l’analisi che ha portato sino a qui: i ricercatori, guidati dal professor Jonathan Birch del Center for Philosophy of Natural and Social science, sono partiti da 300 pubblicazioni scientifiche esistenti e hanno preso in considerazione 8 diversi criteri per valutare la sensibilità, come la capacità di apprendimento associativo e la presenza di recettori del dolore e regioni cerebrali dedicate e di “tattiche di autoprotezione flessibili in risposta a lesioni e minacce”. Non di riflessi automatici, ma di vere e proprie strategie
e contromisure.
Quel che è emerso è che aragoste, granchi, gamberi, polpi, calamari e seppie e simili hanno “un sistema nervoso centrale complesso”, che è “uno dei tratti distintivi chiave degli esseri senzienti”, e dunque sono in grado di provare “sensazioni come dolore, piacere, fame, sete, calore, gioia, conforto ed eccitazione”.
Come abbiamo scritto in passato, una conclusione del genere dovrebbe già essere sufficiente per prendere qualche decisione, anche se solo limitatamente alla propria sfera personale, ma è ovvio che il problema non è di facile soluzione. E che il dibattito è aperto. Talmente tanto aperto che da quando il governo britannico ha annunciato di avere commissionato lo studio, questo è stato un tema molto trattato sui social network, ormai diventati specchio della nostra società. In tantissimi, dagli chef ai titolari dei ristoranti, alle persone comuni, hanno detto la loro, fra chi ha ribadito l’assoluta necessità di cuocere le aragoste vive (per ragioni che vanno dal sapore alla pericolosità), chi sostenuto esattamente il contrario e chi ha ricordato che esistono macchinari per fargli fare una fine meno cruenta. E anche chi ha citato il film “Il mio amico in fondo al mare”, che parla di un polpo, è su Netflix e ha vinto l’Oscar 2021 come Miglior Documentario.
Noi lo abbiamo visto, ci è piaciuto, ne abbiamo scritto spesso. Qui vi diamo un
altro paio di consigli, se volete approfondire l’argomento:
- leggere il libro “Considera l’aragosta” dello scrittore americano David
Foster Wallace (uno dei capitoli affronta proprio la sensibilità di questi
animali e quando venne pubblicato fece molto scalpore);
- vedere o rivedere il film “The Lobster” (è anche su Prime Video), per capire
meglio alcune scelte del protagonista, interpretato da Colin Farrell.
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