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Quello dell’impollinazione è un ruolo fondamentale per tutto il sistema agricolo mondiale e per l’equilibrio della vita stessa. Oggi cambiamenti climatici e pesticidi minacciano gli insetti che ne sono i responsabili, con grossi rischi anche per noi.
Gran parte del nostro sistema alimentare dipende dalla categoria di animali forse più sottovalutata e bistrattata di tutte: gli insetti. È a loro, infatti, che dobbiamo la riproduzione non solo di piante selvatiche e fiori, ma anche di tanti prodotti agricoli che sono la base del nostro sostentamento. Gli impollinatori sono però in grave pericolo: come riporta il WWF negli ultimi 30 anni in Europa abbiamo perso oltre i 70% della biomassa di insetti volatori, non solo delle specie più rare, ma anche delle più comuni, basti pensare che il 40% di api selvatiche, farfalle, sirfidi e coleotteri a livello globale rischia oggi l’estinzione.
Una famosa citazione attribuita ad Albert Einstein dice che se le api morissero, a noi resterebbero solo quattro anni di vita. La frase è stata smentita, ma rende bene l’idea dell’importanza che questi insetti ricoprono e, se non possiamo quantificare gli anni che ci resterebbero senza api, di certo la nostra vita sarebbe sconvolta senza di loro. La posta in gioco, infatti, è altissima e non riguarda solo il miele – di cui vi abbiamo parlato in Miele: tipologie, caratteristiche e proprietà –, ma di un intero sistema agricolo messo in pericolo dal declino degli insetti; infatti, ben il 90% delle piante selvatiche a fiore e il 75% delle colture agrarie dipendono dal lavoro degli impollinatori, che non sono solo api, come si potrebbe pensare, ma anche farfalle, coccinelle, vespe, coleotteri e altri insetti, come i sirfidi, che sono fondamentali anche nella lotta contro i parassiti nocivi per le piante, costituendo quindi un metodo davvero biologico e sostenibile per mantenere le piante sane. Un intero microcosmo che, ronzando e volando di fiore in fiore, svolge un compito indispensabile, senza il quale a essere minacciati sono i sistemi alimentari ed economici di tutto il mondo. Una situazione che ci riguarda da vicino: basti pensare che più del 6% delle 288 specie di farfalle diurne censite in Italia è oggi a rischio di estinzione, contribuendo a raggiungere il drammatico dato del 40% degli impollinatori complessivi.
Quel che non stupisce è che, secondo i ricercatori dell’Università di Pittsburgh, le zone con le più gravi carenze di api sono proprio quelle più degradate dal punto di vista ambientale. Questo perché le principali minacce per la vita e la salute – e quindi il preziosissimo lavoro – di questi e degli altri insetti sono direttamente connesse con le attività che modificano e inquinano il loro habitat. Gli indiziati principali sono la riduzione della biodiversità che impoverisce i paesaggi agricoli, il consumo di suolo e il cambiamento climatico con tutte le sue conseguenze. Ma in cima alla lista dei pericoli c’è l’uso eccessivo di pesticidi, che può rappresentare una minaccia diretta anche alla nostra salute, a causa delle sostanze tossiche che si accumulano nel suolo e nell’aria; a fronte di grossi benefici come una maggiore igiene e sicurezza alimentare, abuso e utilizzo errato di pesticidi provocherebbero, infatti, 385 milioni di casi di avvelenamento non intenzionale e circa 11mila morti all’anno secondo un report dell’Agenzia dell’Onu per l’Ambiente (UNEP), che sottolinea i pericoli della contaminazione delle acque, della degradazione e dell’inaridimento dei suoli e dell’abuso di pesticidi e fertilizzanti chimici, che peraltro oggi è in crescita.
I ricercatori dell’Università di Gottinga, per esempio, si sono focalizzati sui pesticidi a base di neonicotinoidi, il cui stretto controllo sarebbe vitale per tutelare la biodiversità e preservare le api selvatiche della specie Osmia bicornis. Lo studio ha evidenziato che le api libere di scegliere tra più piante senza insetticidi hanno prodotto il doppio di celle per la cova e si sono riprodotte di più e meglio, con un’efficienza direttamente collegata al numero di specie vegetali presenti nell’area e alla presenza di alcune piante particolarmente gradite. Al contrario, le api negli habitat con monocolture di colza trattate con clotianidina, un insetticida neonicotinoide, hanno registrato un calo dei tassi di sviluppo dallo stadio di larva a quello adulto del 69%.
Tutta questa situazione è così drammatica che in alcune aree del mondo gli agricoltori impiegano già l’impollinazione artificiale, eseguita manualmente: in Cina, ad esempio, questo metodo è utilizzato fin dagli anni Ottanta. Se da un lato presenta dei vantaggi – come un alto tasso di efficacia e la possibilità di controllare gli incroci tra esemplari vegetali – questa soluzione d’altro canto è anche molto costosa, perché impiega la manodopera di impollinatori umani e necessita di grande attenzione. L’impollinazione manuale viene infatti effettuata trasferendo manualmente il polline dallo stame di una pianta al pistillo di un’altra impiegando un batuffolo di cotone o una piccola spazzola, oppure rimuovendo i petali da un fiore maschile e con quelli sfiorare gli stimmi dei fiori femminili. Questa strategia, spinta proprio dalla carenza di impollinatori, è necessaria in aree densamente urbanizzate o in cui il paesaggio rurale sia dominato dalle monocolture. Potrebbe sembrare una soluzione – per quanto un po’ triste, dato che prefigura uno scenario distopico senza il ronzio degli insetti che, volando di fiore in fiore, ci fanno pensare subito alla primavera – ma l’impollinazione manuale non è, a oggi, un metodo applicabile su larga scala, dati i suoi costi elevati, che fanno enormemente lievitare i prezzi di frutta e verdura.
Di contro, il lavoro delle api, tra specie domestiche e selvatiche – che pure non sono affatto gli unici impollinatori – vale nei soli Stati Uniti ben 34 miliardi di dollari all’anno, secondo i calcoli di uno studio dell’Università di Pittsburgh e della Penn State University: si tratta di una cifra che supera di parecchio i calcoli degli studi precedenti.
La situazione è preoccupante e le istituzioni come la stessa Unione Europea sono consapevoli dell’importanza del ripristino della natura, tanto da averlo indicato come pilastro della nuova strategia europea 2030 per la biodiversità, che punta a destinare il 25% dei terreni agricoli europei a colture biologiche, a consacrare il 10% alla conservazione della biodiversità e a ridurre l’uso dei pesticidi del 50%. Tagliare drasticamente la quantità di prodotti chimici dannosi impiegati nel trattamento di campi e terreni, infatti, è il primo e più essenziale passo da compiere per scongiurare i rischi per la salute di lavoratori agricoli e degli abitanti di aree rurali, in primis – essendo queste le categorie di persone più esposte ai pesticidi e, quindi, a un maggiore rischio di tumori patologie metaboliche, neurodegenerative, polmonari, cardiovascolari e renali – e per salvare al contempo gli impollinatori. Una possibilità, ad esempio, è quella di incentivare l’uso di sostanze naturali, come l’erbicida testato sull’isola di Pantelleria.
Interventi importanti sono poi quelli realizzati e sostenuti dal WWF, le cui 15 Oasi sparse per l’Italia mettono a disposizione degli impollinatori nettare e rifugi dedicati. Oltre alle “normali” oasi protette, ci sono poi progetti speciali come quello realizzato dal WWF Lecco assieme al Parco Regionale Monte Barro e Apilombardia per tutelare le api selvatiche con analisi sulle caratteristiche del polline raccolto e valutazioni sulle sostanze inquinanti presenti. Fortunatamente anche alcune realtà aziendali consolidate hanno aperto gli occhi sul problema, impegnandosi in progetti a sostegno della biodiversità e del mantenimento di un ambiente sano in cui gli impollinatori possano prosperare e portare avanti il loro prezioso lavoro. Un esempio è il progetto “La Carta del Mulino” di Mulino Bianco, una delle aziende italiane che negli ultimi anni hanno mostrato un crescente impegno ambientale, migliorabile ma incoraggiante, come vi abbiamo raccontato in Il Pianeta chiama, i grandi brand rispondono; si tratta di un decalogo, realizzato anche questo in collaborazione con il WWF, che impegna la nota azienda a rendere la filiera della coltivazione del grano tenero più sostenibile, lasciando spazio alla natura – per un totale di oltre 1.800 ettari di aree seminate con fiori nettariferi e con piantumazione di alberi e siepi – anche riducendo l’uso dei prodotti chimici. L’obbiettivo è quello di recupero della biodiversità che le grandi monocolture intensive oggi minacciano sempre di più.
Dal canto nostro, tutti possiamo fare qualcosa, a partire dalla spesa. Sostenere i produttori che si impegnano a non utilizzare pesticidi è infatti il primo, importante strumento che abbiamo a disposizione per incidere sul mercato. Se abbiamo poi la fortuna di disporre di un orto o un giardino dobbiamo noi stessi evitare il più possibile diserbanti e pesticidi nocivi e seminare fiori nettariferi, possibilmente di diverse specie per garantire varietà e quindi, pur nel nostro piccolo, contribuire alla biodiversità. Per sostenere gli impollinatori nei periodi più difficili dell’anno, come le estati particolarmente aride e gli inverni più freddi, possiamo mettere a disposizione dell’acqua e installare delle arnie. Api, farfalle e sirfidi ci ringrazieranno.
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