Tante idee buone e gustose senza prodotti di origine animale, da consumare a gennaio, ma anche tutto l'inverno, perché no?
È un pesce che va consumato crudo e fresco, dunque che sia di qualità è fondamentale: abbiamo chiesto agli esperti di La Nef di spiegarci come si fa. E anche quanto costa
“Le persone devono capire che, se le temperature di conservazione non sono rispettate e se la shelf life continua a rimanere in molti casi troppo lunga, la data di scadenza delle confezioni di salmone non è molto affidabile”: le parole sono di Nico Palazzo vicepresidente di La Nef, azienda marchigiana attiva da oltre trent’anni nella distribuzione e nella produzione di questo pesce. Sono parole importanti, perché ci aiutano a ridefinire un po’ il nostro rapporto con questo alimento, che consumiamo sempre di più ma su cui dovremmo informarci meglio.
Ed è proprio per farlo che ci siamo rivolti a La Nef: “È stata fondata dai miei genitori nel 1989 - ci ha raccontato Palazzo - Prima eravamo solo distributori, ma da una decina d’anni siamo anche produttori”. Per quanto riguarda il salmone, l’azienda ne produce fra le 12mila e le 15mila tonnellate l’anno, di cui circa 3mila destinate al mercato italiano. È declinato in due linee principali, chiamate Coda Nera e Re Salmone: “Il primo è quello che ci piace chiamare la Ferrari del salmone - ci ha detto Palazzo con un sorriso - Lo destiniamo prevalentemente alla ristorazione, ma c’è anche una versione per i consumatori, che si trova nella gastronomie e pure nei punti vendita della grande distribuzione”; invece, “Re Salmone è un prodotto più mainstream e di uso quotidiano, ma in cui siamo comunque stati attenti alla qualità”.
Per la materia prima, La Nef si rivolge soprattutto alla Norvegia: “È l’unico Paese che riesca a garantire un ottimo rapporto fra qualità e quantità”, ci hanno spiegato dall’azienda. Nel dettaglio: quello che diventa Re Salmone arriva appunto da lì e in misura minore anche dalla Alaska (per la linea Pescato), mentre il Coda Nera solo dalla Norvegia, e da un unico allevamento.
L’acquacoltura è l’allevamento di pesci, crostacei, molluschi e alghe, che vengono fatti crescere in ambienti acquatici controllati dall’uomo. È come una coltivazione, però fatta in acqua. Come un allevamento, ma lontano dal suolo. Ed esattamente come per gli allevamenti, negli ultimi anni abbiamo letto e visto di tutto, su quello che succede all’interno di questi impianti, tanto da suscitare più di una preoccupazione sul pesce che mangiamo. E quindi a Palazzo abbiamo chiesto come si fa ad allevare i salmoni in modo corretto (per noi, per i salmoni, per l’ambiente): “Per cominciare, sgomberiamo un po’ il campo dalla questione degli antibiotici, tanto criticata - ci ha detto come prima cosa - Ormai è un’abitudine vecchia e passata, che praticamente non si fa più da anni, perché i pesci vengono vaccinati da piccoli”.
Al di là di questo, c’è un parametro fondamentale da tenere presente se si vuole fare l’acquacoltura in modo corretto. Inteso come in modo corretto per chi compra il prodotto finito, dal punto di vista ecologico e pure per gli animali: il rapporto fra quantità di pesci e quantità di acqua. Com’è facilmente immaginabile, maggiore è la concentrazione, minore è la pulizia dell’acqua (e dunque del tratto di mare in cui si trovano le vasche) e minore anche la qualità della carne che si ricaverà: “I nostri allevamenti in Norvegia garantiscono che in ogni metro cubo d’acqua non ci sia più del 2,5% di pesce, che è un valore di cui andiamo fieri e che riportiamo anche in etichetta. E in Scozia e per il salmone Bio facciamo ancora meglio: rispettivamente, l’1,5 e l’1% di pesce per metro cubo d’acqua”.
Un’altra variabile da tenere presente, che è quella che impedisce che l’acquacoltura si possa fare in Italia (almeno per ora), ha a che fare con il mare. Con la sua temperatura, soprattutto: “Nel nostro Paese non ci sono le condizioni climatiche, che si trovano solo in Cile, Islanda, Norvegia e Scozia”, anche se “in Svizzera stanno facendo alcuni tentativi con vasche indoor tenute alla temperatura corretta”.
Questo potrebbe risolvere uno dei problemi dell’acquacoltura fatta bene: “Con queste concentrazioni di pesce, servono tanto spazio e vasche molto grandi - ci ha fatto notare Palazzo - Si rinuncia alla quantità per puntare sulla qualità, si produce un po’ meno salmone, ma quello che si produce è buono. Che è forse il motivo per cui il suo costo è salito tanto negli ultimi anni”. Salito di quanto? “Nella primavera del 2022, il prezzo all’ingrosso, pagato da noi comprando in Norvegia, è praticamente raddoppiato, passando da 7 a 14 euro al chilogrammo. Che è una cifra mai vista prima”.
Ma non si può pescare il salmone, invece di usare le vasche? “Se si vogliono sostenere questi ritmi produttivi, gli allevamenti sono necessari e dagli allevamenti non si può prescindere - ci hanno risposto dall’azienda - Il pescato, che arriva praticamente solo da Alaska e Canada, rappresenta ormai una parte molto piccola del mercato, anche perché ha una carne diversa, è più magro e ha un gusto particolare cui i nostri palati non sono più abituati: facendo un paragone improprio, è un po’ la differenza di sapore che c’è fra maiale e cinghiale”.
Per La Nef, comunque, la provenienza e il tipo di cattura contano sino a un certo punto, perché quello che conta di più è garantire la qualità del prodotto offerto: “Questo è stato da subito il nostro obiettivo, prima come distributori e ora come produttori, tanto che l’attenzione all’ambiente, che comunque c’è, è in qualche modo venuta dopo, come una conseguenza”. Uno dei metodi per privilegiare la qualità è stato quello di evitare il congelamento del prodotto, in qualsiasi fase della lavorazione: “Così il salmone rimane più genuino, richiede l’aggiunta di una minore qualità di sale e meno affumicatura, è più vero”. Comprensibilmente, c’è un rovescio della medaglia: dura di meno e si conserva meno a lungo. Quando gliel’abbiamo fatto notare, Palazzo ci ha detto la frase riportata all’inizio, quella sul fatto che “la data di scadenza delle confezioni non è molto realistica”, che è un concetto ribadito nel tempo e negli anni pure dal microbiologo Antonello Paparella, che anche di recente ha ricordato che “è meglio consumare il salmone affumicato lontano dalla data di scadenza”.
Ci ha spiegato bene Palazzo: “Si tratta di un cibo non cotto, conservato solo grazie all’uso del sale e che va mangiato crudo e fresco. E dunque più di tanto non può durare”. Va bene, ma quanto? “Chi lavora in questa industria sa che parliamo di non più di 21-30 giorni da quando è stato confezionato”. Che è un’informazione che noi consumatori non possiamo avere, dunque è sempre meglio consultare l’etichetta ed evitare di avvicinarsi troppo alla data ultima.
Questa non è l’unica cosa da verificare sulle confezioni che (come ribadiamo spesso) sono fonti preziose di informazioni utili: “Per quanto riguarda il salmone affumicato - ci ha detto Palazzo - io punterei su quelli con la scritta Mai congelato, quelli che indicano l’assenza di additivi e quelli con una lista ingredienti molto, molto corta, che più o meno comprenda solo sale e pesce”.
Poi c’è la questione del colore che, come sappiamo, è fondamentale per distinguere il salmone di qualità da quello non di qualità: “Quello buono è tendente all’arancione, non un arancione choc ma tenue, come un rosa intenso - ci ha spiegato ancora Palazzo - mentre quello congelato, sarà più rosa pallido o addirittura biancastro”. Per quanto riguarda il colore potremmo semplificare dicendo che il salmone congelato si riconosce per essere tendenzialmente di un colore rosa pallido o addirittura biancastro.
E il prezzo? Quanto si deve spendere per comprare un buon salmone affumicato? I prezzi di La Nef sono più o meno in linea con quelli generalmente indicati quando si parla di un prodotto di qualità: “Nei supermercati, una confezione da 100 grammi del nostro Re Salmone costa circa 5 euro, mentre per il Coda Nera si sale intorno ai 6 euro e per le varianti Bio e Pescato si va poco oltre”.
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