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Uno studio su Nature food ha ricalcolato l'impatto dei trasporti nella produzione di cibo sulle emissioni di gas serra. Parliamo di quasi il 20% delle emissioni associate, fino a 7 volte di più rispetto alle stime precedenti. Ecco perché è importante il cosiddetto chilometro zero.
Si dice che la sostenibilità cominci da quello che mettiamo nel carrello. In un certo senso è così: possiamo scegliere tra decine di migliaia di prodotti, ognuno dei quali ha un peso diverso, anche molto diverso, sull’ambiente. Una stima di questo peso è data dalle emissioni di gas serra necessarie per la loro produzione, cioè l’“impronta di carbonio”. Ma quanto contano i trasporti in questo calcolo?
Sappiamo da tempo che produrre carne ha un grande impatto in termini di emissioni di gas serra, quindi (anche per la nostra salute) si consiglia di ridurla. Allo stesso tempo molti consigliano di mangiare prodotti con filiera corta, prodotti vicino a dove li consumiamo. Questo perché, ovviamente, anche il trasporto produce emissioni. Eppure su questo punto gli studi non sono altrettanto “netti”: dai calcoli sembrava che muovere il cibo, tutto sommato, incidesse poco.
Un nuovo lavoro, pubblicato di recente su Nature food sembra ribaltare la situazione. Se si considera l’intera filiera di produzione al livello mondiale, con la refrigerazione, il trasporto di fertilizzanti e macchinari, oltre al quello del prodotto finito, le emissioni annuali salgono a 3 gigatonnellate di CO2 equivalenti (la CO2 equivalente riunisce l’impatto dei diversi gas serra rispetto a una quantità di CO2). Questa stima è da 3,5 a ben 7,5 volte più alta di quella calcolata precedentemente.
Per il calcolo gli scienziati hanno usato un modello che comprende oltre 30 milioni di connessioni commerciali. Per fare un esempio: per produrre carne in Cina si usa soia coltivata in Brasile, ma i fertilizzanti arrivano dagli Stati Uniti, il carbone per alimentare le industrie è importato da Australia e Indonesia, le macchine arrivano dalla Germania. Se si considerano tutti questi spostamenti, il trasporto incide per circa il 19% delle emissioni associate alla produzione di cibo, pari al 6% delle emissioni totali. La responsabilità di queste emissioni, come sempre, non è equamente distribuita. I paesi più ricchi, che vogliono mangiare la frutta e la verdura che preferiscono tutto l’anno, sono quelli che determinano i maggiori spostamenti. Il 12% della popolazione mondiale è responsabile del 46% delle emissioni associate al trasporto di cibo.
Lo studio quindi conferma che mangiare cibo locale e di stagione è effettivamente una buona idea per l’ambiente, ma è vero che per rendere la produzione di cibo più sostenibile non è sufficiente. A livello individuale, scegliere di mangiare meno carne e più frutta, verdura, e cereali, rimane una regola valida sia per l’ambiente che per la salute. Per fare di più dal punto di vista dei trasporti occorre anche spostare i luoghi di produzione vicino a dove è consumato, ed elettrificare il trasporto privilegiando il trasporto via ferrovia rispetto a quello su gomma.
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