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Ripasso semiserio dei cartoni animati dedicati agli insetti, che passano gran parte della vita a difendersi dagli umani e dalle scarpe e dagli insetticidi e dalle riviste: ecco che cosa direbbero, se potessero parlare
Chissà cosa direbbe Busy Bee, l’assistente di Michelle Obama in Waffles + Mochi, la divertente serie di Netflix dedicata al rapporto dei bambini col cibo, del difficile momento in cui si trovano le sue colleghe api e gli altri insetti impollinatori a causa dell’azione dell’uomo. Per come l’abbiamo conosciuto (inteso con molte virgolette intorno) durante la videointervista che abbiamo fatto a lui ad alcuni degli chef protagonisti dello show, cercherebbe di ironizzare un po’, ma poi tornerebbe serio, magari dicendo una frase delle sue, qualcosa come “La situazione è pungente, dobbiamo risolverla invece che stare qui a lamentarci”. Del resto, Busy Bee è un’ape impegnata e pragmatica, a volte pure un po’ caustica, indossa la cravatta e gestisce un supermercato insieme con l’ex first lady degli Stati Uniti. Ed è solo l’ultimo dei tanti personaggi del mondo degli insetti che negli anni sono stati protagonisti di serie tv o film di animazione, spesso anche cercando di portare messaggi positivi e costruttivi ai bambini, nel tentativo di farli diventare adulti buoni e rispettosi dell’ambiente che li circonda.
La più famosa è ovviamente l’Ape Maia, nata oltre un secolo fa dalla penna dello scrittore tedesco Waldemar Bonsels e diventata in Giappone un cartone animato, prima nel 1975 e poi di nuovo nel 1979. È talmente celebre che le sono stati dedicati anche alcuni lungometraggi e una nuova serie, realizzata in computer grafica nel 2012 e visibile su Netflix.
“L’Ape Maia” è un po’ il “Siamo fatti così” del mondo degli insetti: durante le oltre 100 puntate delle 2 stagioni della serie originale non vengono affrontati in modo esplicito temi legati all’ecologia e alla tutela degli impollinatori, ma sulle loro vite si imparano in maniera scherzosa tantissime nozioni interessanti, dalla struttura dell’alveare al rapporto con gli altri insetti, al ruolo di ciascuno di essi. Non abbiamo avuto (ancora) la possibilità di intervistarla, ma siamo (abbastanza) sicuri che se potesse dire la sua sulla questione, guarderebbe il suo amico Willi, gli griderebbe “Andiamo!” e lo inviterebbe a investigare e a seguirla mentre va a rimproverare gli umani. E anche ad affrontarli, se fosse il caso. Perché l’Ape Maia, che un paio d’anni fa ha collaborato con il WWF proprio per difendere amiche e colleghe , non è mai stata una che si tira indietro davanti alle sfide.
Uno che forse inizialmente si tirerebbe indietro è Barry Bee Benson (sì, le api dei cartoni hanno spesso nomi un po’ così), il protagonista di “Bee Movie”, un film di animazione del 2007 che è probabilmente quello che spiega meglio che cosa succede dentro un alveare e pure quanto stressante sia la vita delle api. Anche senza noi umani che cerchiamo di sterminarle, s’intende.
I primi 10-15 minuti del film (disponibile su Amazon Prime Video e su Netflix) chiariscono già tutto, a partire dal fatto che “le api nemmeno potrebbero volare”, perché “hanno le ali troppo piccole per sollevare il loro corpo grassoccio”. E però lo fanno lo stesso, perché evidentemente le difficoltà non le spaventano. E poi? E poi vanno a scuola 3 giorni, prendono la loro apegella, si laureano in 5 minuti e in altri 5 devono decidere quale lavoro faranno all’interno della comunità, ché non è che abbiano molto tempo da perdere. Scelgono il lavoro che dovranno fare, e fare bene, per il resto della vita. Perché nel mondo delle api è così: ognuna ha un ruolo specifico e deve svolgerlo per sempre, per la sopravvivenza dell’alveare. Se potessimo domandare a Barry (anzi, a Barry Bee Benson) che cosa direbbe di quello che sta succedendo adesso nella realtà, ci ronzerebbe accanto, ci guarderebbe negli occhi e se ne uscirebbe con uno dei suoi “Non lo so, amico”. E poi partirebbe per salvare il mondo, che un po’ è quello che fa nel film.
Il mondo inteso come il mondo degli insetti, quello dove sono ambientate altre due opere di fantasia che molto successo hanno avuto alla loro epoca: l’americano “A Bug's Life” e il francese “Minuscule”. Il primo, uscito nel 1998 praticamente in contemporanea con “Antz” e oggi visibile su Disney Plus, è incentrato sulla rivalità fra le iperattive formiche e le prepotenti cavallette: il protagonista, il geniale e maldestro Flik, oggi non si perderebbe d’animo e direbbe “Inventiamoci qualcosa!”. E poi davvero s’inventerebbe qualcosa, come un congegno per il controllo mentale per convincere noi umani a smetterla con i pesticidi. Che non uccidono solo le api, ma pure tanti altri insetti e anche le farfalle.
Pure le farfalle sono impollinatori, anche se spesso lo scordiamo, rapiti dalla loro bellezza, e nella loro forma di bruco compaiono in “Minuscule”, una serie tv composta da un’ottantina di episodi prodotta a partire dal 2006 e poi diventata anche due film, nel 2013 e nel 2018 (il primo è visibile su Prime Video): sembra un documentario e dunque insegna, ma fa anche parecchio ridere. Gli ambienti in cui si svolgono le storie sono reali, mentre gli insetti sono disegnati al computer e hanno fattezze quasi umane. Gli umani, invece, in “Minuscule” praticamente non ci sono. Che forse è il segreto per cui il programma è andato avanti così tanto: perché non c’erano persone a disboscare, edificare, sradicare, lanciare ciabatte e così via. Onestamente, non sappiamo cosa direbbero Mandibola, Coccinella, Butor o gli altri protagonisti: non già perché non abbiamo provato a chiederglielo, ma perché loro non parlano. Sono insetti, del resto. Possiamo però immaginare che il loro silenzio decisamente non sia assenso.
Un altro “silenzio” che abbiamo notato, in questo ripasso semiserio delle opere di fantasia dedicate al minuscolo universo degli invertebrati, deriva dal fatto che ultimamente non se ne fanno più tanti, di film o serial dedicati agli insetti (i più recenti risalgono al 2014/2015). E forse questo è parte del problema: ce li siamo dimenticati, ci siamo dimenticati di quanto siano importanti. E abbiamo sbagliato. Ce l’ha detto Barry Bee Benson col suo ingombrante nome, che abbiamo sbagliato. Perché “anche il più piccolo dei lavori, se svolto bene, porta tanto”.
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