Ancora prima che il Salone apra fisicamente i battenti, discorsi e taglio del nastro, per un espositore ci sono questioni molto importanti da risolvere: autorizzazioni e logistica. Complesso voler somministrare alimenti, soprattutto se le preparazioni sono articolate, soprattutto se lo scopo è far degustare i prodotti e non fare business fieristico.
Le procedure burocratiche per accedere alla preparazione e alla distribuzione di alimenti diventano di volta in volta più difficili e appaiono quasi barriere protezionistiche.
Il Salone del Gusto è l’unico evento fieristico al mondo in cui produttori piccoli e medi possono emergere dal territorio in cui sono conosciuti per presentarsi a un pubblico molto più largo, competente e interessato. Saranno i loro prodotti, la loro competenza a permettere di costruire un rapporto diretto con clienti diversi da quelli abituali. Business to consumer allo stato puro, senza filtri e senza limiti, nemmeno temporali (11-23 è davvero un orario massacrante per gli espositori!).
I luoghi degli sponsor sono molto grandi, dominano quasi il territorio circostante, mentre i cluster in cui sono alloggiati gli altri espositori sono tutti uguali e nonostante ci sia una scelta politica condivisibile in ciò, spesso l’emersione diventa impossibile per l’omogeneizzazione dell’immagine esteriore dello spazio a disposizione.
La mia percezione, osservando le foto del Salone delle ultime quattro edizioni, è che questa “emersione” si sia accentuata particolarmente in alcune merceologie: la birra per esempio, quanta! Tanti insaccati e poca pasta, poco riso ma d’altronde la difficoltà di far degustare questi prodotti è risaputa. Se esponi ma non proponi nulla da mettere sotto i denti diventi poco interessante, quasi invisibile. Il visitatore tipo ha poco tempo per ascoltare ma riesce a mangiare in sequenza: Ciuiga, spaghettone in brodo dashi, le preziose preparazioni di Primitivizia, una mela e due fette di formaggio Vezzena. Chissà quale sarà la percezione finale della visita al padiglione Trentino.
Il nostro Salone, Felicetti –Combal.zero, è stato preparato già prima di Identità Golose 2012, che in parte era stato immaginato come laboratorio di sviluppo per il Salone.
Avremmo potuto realizzare e vendere migliaia di piatti di pasta cotta splendidamente e con condimenti splendidamente tradizionali.
Ci saremmo pagati la presenza al Salone, ma non saremmo stati soddisfatti, dell’occasione persa. Non avremmo potuto comunicare la nostra idea della pasta, inserita in un contesto internazionale, libera della liturgia del “pasto all’italiana”. Non si tratta di rinnegare l’italianità della pasta, unico baluardo ancora (quasi) intatto della nostra tradizione, bensì pensare a un “concept food” immaginabile su Broadway o a Shibuya. Esercizio innovativo e pericoloso, lo ammettiamo, difficile da comunicare, soprattutto a una fascia di visitatori tradizionale. In effetti abbiamo trovato nella frazione più giovane dei visitatori il pubblico più attento, più curioso, più interessato.
Un ultimo appunto di viaggio: durante il Salone si vive con il fuso orario di New York City e per chi non è abituato son dolori, di testa, ma non solo.