Abomino vivere in un mondo in cui le persone vengono classificate per categorie. Abomino l' universo in cui si perda la ricchezza dell'infinito a favore della miseria di un modello. Adoro la sfrontatezza delle sfumature, dei distinguo.
Abomino i dogmi, i dettati, i comandamenti: adoro l'autodeterminazione, e la capacità di commettere errori e di pagare il prezzo di tasca propria. A viso aperto e senza vergogna, che l'unico errore che non si può perdonare è l'infallibilità.
Abomino le scelte preconfezionate, i paradisi della verità, i luoghi riscaldati dalla credulità: che le fragole di Giustino Quattrocchi, eh, quelle si che sono buone altrocchè, le innaffia lui a mano con l'innaffiatoio giocattolo di sua figlia Erminia riempito esclusivamente con acqua di ghiacciaio al disgelo. E le trote allevate da Porfirio Sguazzini, quelle si che sono buone altrocchè, che derivano dalle prime trote che abitarono la Val Budella nel 1921, quando il bisavolo Ernani Sguazzini le importò a dorso di mula dal fiume Beresina. E il vino, oh, il vino che è stato fatto con gli ultimi grappoli di Sperindiella Gialla, un vitigno armeno che arrivò qui dal secondo marito della cugina acquisita che appunto era armeno: e lo fanno, senti un po', senza solfiti, senza legno, senza filtrare, senza chiarificare, e - ma questo potrebbe essere imbarazzante - senza vendemmiare!
Allora lo dico a gran voce: che voglio essere laico, voglio essere libro [cit.] di dire che mi piace l'emmenthaler con la maionese Calvè sopra, non meno di due volte l'anno; che la mortadella Veroni è buona da morire e la mangio colle mani; che il Sorbara di Chiarli bello fresco lo mando giù a garganella, con un piacere diverso dal Pozzoferrato di Storchi che in ben altro cuor mi sta ma altrettanto; che Valentina Nappi sarà pur una
pornostar porno performer, ma le sue recensioni si leggono più volontieri e che sono azzeccate; che Francesco Zonin mi è simpatico anche se fa polentasei milioni di bottiglie, e il suo Acciaiolo '95 è un accidente di vino; che il chinotto Sanpellegrino mi fa godere più di quello della Lurisia anche se si trova sugli scaffali dei peggiori supermercati di Yangon.
E anche che la Pasta dei Campi mi piace un sacco anche se costa come una casa in campagna, e che i 50 euri pagati per il dessert con il caviale di Cracco sono tra i meglio spesi anche se mi ci farei almeno un mese di callista.
Infine che lo sfizio che mi regala un piatto non ha nessuna correlazione nè diretta nè inversa con lo spessore morale del cuoco, così come nessuno ha pensato di chiedere a Miles Davis quale ragazza avesse pagato le sue invenzioni con il mercimonio delle sue carni.
E stasera, diamine, lasciatemi cucinare quella pernice.
Immagine: Pensieri di Torà