Parte il refrain: "Io, quando faccio Qualità Totale..." Ecco, in qualsiasi momento io mi trovassi a discorrere con qualcuno che m'apostrofa in questo modo, per prima cosa cercherei un randello. Poi, siccome sono un non violento, più garbatamente rinuncerei alla combinazione 13 della macchinetta del caffè [lungo, miscela pregiata, senza zucchero] e mi priverei del piacere di comprendere quel mefistofelico concetto.
Racchia temperie, questa funestata da ogni genere di calamità: sempre in bella vista le frodi alimentari. Affronto l'argomento da terzino, con poca o nulla informazione tecnico-scientifica sull'oggetto del contendere, ma lunga e approfondita pratica di calci nelle caviglie: la lista della spesa e le sue nefandezze.
Approccio da terzino, o forse da stopper: che anche di calcio ne so meno che di sistema riproduttivo dei celenterati: ma di certo non vorrei si confondesse il diritto alla Qualità del cibo che ingeriamo con il Desidero dell'Eccellenza. La differenza è semplice: soddisfa il diritto alla qualità una onesta mozzarella di bufala campana, prodotta in campania con il metodo tradizionale, e con solo latte di bufala. Soddisfa il desiderio dell'eccellenza il consumo di sola mozzarella Vannulo, o Rivabianca, senza chiedere il prezzo.
Per essere chiari, soddisfa il diritto alla Qualità anche comprare una polpetta di manzo che contenga, appunto, carne di manzo. Se ci trovo dentro il cavallo non vedo offesa una qualche cosmogonia che ritiene gli animali disneyani meno mangiabili di quelli operai. Semplicemente vedo offesa la legge morale del diritto alla verità di quello che compro: vorrei solo che ci fosse scritto sopra "CAVALLO", così se sono un ippofilo (si dice?!?) ci sto alla larga.
Non è più o meno grave, ma almeno altrettanto il caso della presenza di tracce di batteri fecali nei cibi destinati alla refezione. Ecco, se dovessi parlare di Qualità vorrei dire che sbagliare la scelta del fornitore, trovandosi poi impantanati nei problemi sanitari che sappiamo, è altrettanto grave nel caso di scarsa salubrità che di scarsa trasparenza.
Ma la cosa più ridicola è che poi ci troviamo alle prese con un sistema burocratico bizantino che cerca di risolvere il problema dal punto di vista normativo, impegnando i produttori in un milione di controlli, ossessionandoli con la produzione di un milione di fogli di carta, e dimenticando la cosa più importante: l'abitudine, la cultura della trasparenza. Distribuire cibo contaminato è come lasciare un'arma carica in giro: prima o poi parte un colpo. Io non vorrei che il mio bimbo piccolo giocasse in casa di un amichetto il cui padre dimentica in giro un'arma, non voglio che si nutra di cose che possono contenere lo stesso potenziale distruttivo. Così come non voglio mangiare carne di cavallo se non sono un cavallifago (si dice?). O bere cabernet quando sull'etichetta c'è scritto sangiovese, ecco.
Quella stessa burocrazia poi rende quasi impossibile produrre formaggi e salumi tradizionali, di strepitosa qualità, che si giovano proprio delle condizioni estreme in cui vengono realizzati. La burocrazia che confonde contaminato e "non-sterile" e che chiede ai produttori di bagoss di avere le stanze bianche con le mattonelle di ceramica alle pareti. Un'idea diversa, personalmente responsabile, di qualità.
Una responsabilità alla fine condivisa tra produttori e consumatori, che se perdono ore a studiare le caratteritiche tenniche dell'ultimo smartphone, potrebbero anche leggere l'etichetta della roba che infilano dentro i loro figli. Perché l'etichetta conta qualcosa se qualcuna la legge.
Lo slogan che ci potremmo portare dietro, dunque, è: "Fateci mangiare quello che ci dite che ci fate mangiare, altrimenti diteci cosa ci fate mangiare". Un po' lungo come pay-off, ma basterebbe, per cominciare.