"Allarme neve". Questo titolo nei giorni scorsi campeggiava più o meno su ogni giornale stampato o pixelato assieme ad "Allarme freddo". Ci hanno risparmiato "Ponte: pericolo esodo" e "In arrivo il Grande Freddo" con un improvviso sussulto di dignità. Proclamare l'"Allarme Neve" l'8 dicembre è un po' come evacuare una città il 15 d'agosto perchè scoppierà l'afa.
Eppure viviamo di slogan. Abbiamo bisogno di frasi tridimensionali, scolpite e ripetibili, che possano essere infilate in un coro da stadio. Allora ecco la "Discesa in Campo" e "Adesso!" con tanto di punto esclamativo. Per dire, "Vendemmia del secolo". Ma gli slogan geniali non sono infiniti, e qualche volta si infila tutta la gamba nella tagliola del già visto: Aspettiamo il prossimo che traduca "We can!" con "Io può".
Succede così anche nelle nicchie, dove la ricerca della next big thing è disperata. Purtroppo però nel mondo della gastronomia gli argomenti sono pochi, e inventare uno slogan è cosa riservata ai geni assoluti: l'ultimo efficace è stato nouvelle cuisine, con buona pace della giovane cugina che spesso viene tirata in ballo.
Tutt'ora quando proponi agli amici di uscire a cena se sei appena appena interessato a qualcosa di diverso da un piatto di tagliatelle bolognaise rischi di sentirti dire Basta che non sia uno di quei posti dove fanno Nouvelle Cousine (la cugina, appunto).
Dunque noi poveri scribi stiamo qui a domandarci come clamare l'ultimo movimento: che Alta Cucina non piace a Valerio M.Visintin, che dopo ti corre dietro con il forcone gridando Cos'è l'Alta Cucina! Quella del trentesimo piano! Cucina Molecolare non piace più a nessuno, che poi moriamo tutti con le texturas e ci vengono le bolle con l'azoto e anche al Fat Duck ne hanno intossicati a plotoni. Sta venendo avanti bene Cucina Contemporanea, che di per sè non significherebbe nulla (se la mangio oggi come fa a non essere contemporanea?!?) ma acquisisce un significato laterale di vertice, di ricerca, di spregiudicatezza che pare eccedere i limiti stessi della parola.
Poi succede che viaggi l'Italia su e giù, e ti trovi in locali bellissimi con cuochi bravissimi che brillano della luce riflessa dai bellissimi tavoli vuoti. Dove la rarefazione dei clienti è fenomeno endemico. Dove nessuno più si azzarda a fare pasti completi con la scusa della linea, e ci si accontenta di due piatti e un dolce in due, riducendo drasticamente il ticket medio (che è il vero problema della ristorazione di qualità).
Allora come la chiamiamo questa nostra cucina schizofrenica, divisa tra i lustrini della TV e le toppe sui calzoni di conti economici senza respiro?
Mah. Proverei con Cucina Pericolante.