Nel mio nuovo ruolo di ornitorinco parolajo [nè blogger nè giornalista] mi trovo le prossime dodici settimane pregne di inviti di ogni genere: il mio indirizzo eMail deve essere finito nel frullatore di un qualche Matrix degli Uffici Stampa e/p Pubbliche Relazioni. Quindi ecco l'invito alla presentazione del Consorzio di Valorizzazione della Patata Pentolina, una varietà rara e dimenticata ormai coltivata solo da sette anziani agricoltori della Valle Lontanissima, o una proposta di relazionare sulla storia della vera ricetta dello Stufato alla Devastatedisoprese, tradizionalmente proposto alle famiglie della ridente cittadina lombarda di Devastate di Sopra.
Appuntamento ineludibile però il Salone del Gusto di Torino, spettacolare circo palatale lingottiano. Un vero lingotto d'oro, se si pensa al ponderoso volume d'affari del settore agroalimentare.
Due giorni nello scatolone postfordista sono un'alluvione di informazioni che stordirebbero anche un orso bruno: l'assaggio seriale 'nduja-cioccolato-pecorino-pesto-marmellata mettono alla prova più di una batteria di 50 Barolo.
Stucchevole l'idea di riportare elenchi di cosebèlle e cosebrùtte: come ogni luogo v'è abbondanza di entrambe. Invece un quesito, un dubbio di fondo mi verrebbe di esporlo, perché la risposta non è automatica.
Vista tanta birra, tanta. Olio, formaggi. Pasta. Come dire, derrate che hanno un loro mercato un loro canale distributivo che vivono una ambiente concorrenziale. Normale, ecco. Poi una travolgente quantità di piccole e piccolissime referenze, quelle che trovi solo andandole a cercare.
Ma per tutto il tempo che ho calcato il rigoroso pavimento cementizio del salone mi sono posto la stessa domanda. Ma la Lenticchia Obesa di San Polonio ha più diritto di vivere del Fagiolo Smilzo di Tantumergo?
Da un lato sono felice di rivalutare, trovare, assaporare i prodotti in regime di minorità. Ma per dirla con il noto enologo Giovanni Masini, se un vitigno è andato perduto un qualche motivo ci deve essere. Scarsa produttività, difficoltà colturali, mutate esigenze di gusto hanno messo prodotti anche di grande valore intrinseco al margine del mercato.
In altri termini, quanto vale la pena di difendere la sopravvivenza di prodotti a fallimento di mercato? Di spendere tempo e denaro per conservare in vita la Salsiccia Grama di Volpedio e magari dimenticarci del sistematico peggioramento qualitativo di prodotti a diffusione internazionale tipo formaggi e prosciutti che muovono un'iradiddio di soldi e denari? Dove finisce l'amore per il particulare e dove comincia lo sfruttamento strumentale di una vuota retorica pauperistae passatista?
L'esperienza professionale e personale mi aiutano a dire che esiste un limite in cui la testardaggine diventa cocciutaggine, e la pertinacia diventa pervicacia. Esiste un limite tra perseguire un obiettivo fino all'ultimo e ostinarsi in una direzione senza ragionevoli possibilità di riuscita.
Adoro la biodiversità, amo le sfumature, m'inebrio della ricerca di sapori inusuali. Ma per favore, non sentiamo la mancanza di un altro Ente d'Incremento del Carciofo Spinato di Rubagotti.