Spero che gli economisti oggi siano tutti impegnati a scrivere pozioni magiche per la Soluzione Finale della Crisi da passare in campagna elettorale, così non avranno tempo di venirmi a coprire di biasimo per le semplificazioni approssimazioni e inesattezze che sto per scrivere a proposito dei prezzi.
Per tutti gli altri, invece, ricorderò che il denaro è nato per misurare il valore delle cose, e facilitare gli scambi di derrate. Un orcio d'olio valeva... due pecore? sei galline? un maiale? una mezza vacca? No, dodici sesterzi. Poi con i dodici sesterzi potevi contare i corrispondenti maiali, vacche, galline, pecore. Bello. Peccato che in tutto questo si innescò la faccenda della scarsità dei beni, e il prezzo diventò la misura del bisogno - o del desiderio - dell'acquirente. In sintesi, la quantità di denaro dal quale l'acquirente era disponibile a separarsi per acquistare quell'orcio d'olio. Più Mevio anelava l'olio, meno Sempronio ne produceva, più denaro occorreva per comprarlo.
A qual punto il denaro stesso era pronto a diventare una merce, e precisamente la merce più scarsa che c'è: non si può produrre. Il denaro aveva anche il suo bel prezzo: il tasso di interesse. Poi le cose si complicarono ancora, e il prezzo del denaro non fu più determinato dalla sua scarsità, ma dal peso delle aspettative di guadagno su quell'impiego: era stata inventata la storia dei derivati, in sostanza il prezzo dei sogni di scorciatoie per la ricchezza. Del resto tutte le storie fondate sul nulla sono destinate a evaporare come polle d'acqua al sole di ferragosto, lasciando in genere ricordi maleodoranti.
Per un attimo però riprovo a usare il denaro come metro di valore, tanto per capire come una bottiglia di vino può costare 5cento - o 5mila - euri. Naturalmente il prezzo non ha nulla a che vedere con il costo di produzione, e quindi il denaro non misura più il valore di quella bottiglia: ma il valore dell'atto di possederla, ancora prima che di consumarla. Le acque poi sono intorbidite dal delirio del collezionismo, che è una specie di affronto al vino: che ha come scopo nella vita quello di essere prima o poi bevuto. Ma anche se quella bottiglia, poniamo un Latour o un Romanèe Conti, la comprassimo in cantina al prezzo di cantina, avremmo un prezzo che contiene altri valori oltre a quello di produzione. Perchè per fare quel vino occorrono uva e zolfo, il terreno a Paulliac o a Vosne, le viti, e il capitale per tenere le bottiglie in cantina. Da qui alle decinaia, e centinaia di euri occorre un ripieno di marchio e prestigio - che sommati fanno
status - di un certo livello.
Mi chiedevo se la cosa valesse anche per il mondo della birra, che conosco in modo marginale. Me lo chiedevo leggendo il cartellino di un Magnum di Madamin a 38 euri e 80. Non conosco il prodotto, e per non sbagliare lo sto paragonando al massimo enologico storico mondiale. Secondo le mie modeste conoscenze, per fare la birra occorre acqua, cereali, lieviti, luppolo, tutta roba che non costa un'iradiddio come un ettaro a
Baune Beaune, non richiede anni misurati a manciate per arrivare nel bicchiere, rischi a vagoni dall'agricoltura alla commecializzazione.
Terra, viti, agricoltura nella birra non sono necessari. Stoccaggio: in parte, ma non credo che il processo di affinamento della birra sia paragonabile - se non in rari casi - in termini di tempo spazio e recipienti a quello del vino. Poi ci vogliono i bollitori e un altro paio di arnesi, ma siccome la produzione può essere continua e non è soggetta a stagionalità, non hai bisogno di grandi spazi per gestire grandi quantità in un tempo brevissimo. Ne puoi fare un po' al giorno e va bene così.
E' abbastanza questo per giustificare l'impressione che il prezzo di quella Magnum sia molto lontano dal suo costo? Non per giustificare il prezzo, perchè quello si autogiustifica nel momento in cui c'è qualcuno che lo compra, ma giusto per capire se stiamo andando verso birre per ricconi.
E lo stesso ragionamento vale per il Bellota da 150 euri il chilo, i gamberi a 90, le chewing gum a 170, più o meno. O per un filetto con le patate in trattoria a 30 euri netti.
Ha ragione il mio vecchio, andava meglio quando andava peggio.
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