Mi sveglio presto. Mi hanno detto che prima delle otto l’accesso al mercato del pesce è riservato agli operatori, che suona la campanella e poi si può entrare. Schiaccio i tasti di Fratello Gugol e trovo una pletora di articoli di taglio epico-poetico-salmastro che non rinunciano a citare De Andrè e le voci che usò in quel suo albo. Sembra che non sia possibile innamorarsi di Genova senza metterci dentro – almeno – una colta citazione della sua opera, preferibilmente chiamandolo Faber. Mi fa venire in mente il navigato gurmè di turno che s’appaga di citare per nome il cuoco, la moglie, la figlia, il nonno cacciatore, la nonna sfoglina e il cane meticcio di cui conosce esattamente le desinenze razziali, gli appetiti e el idiosincrasie: “sai, è un bastardino bruttisimo, un incrocio tra un Pastore Abkasio Gigante e un Foxter Famous Retriever, per quello mangia solo petti di pollo aromatizzati alla curcuma., ha ha ha, ma loro lo trattano come un figlio, ha ha, non li sopporta nessuno con quel cane viziato, ha.”. Già. Però c’è anche il sito del Comune che dice: Ingresso al Pubblico 07:45. NIent’altro.
Allora mi metto nelle orecchie un disco di punk finlandese e vado a farmi affettare la faccia da un vento antelucano freddo e rampinato, e mi faccio gassare del milione emmezzo di auto camioni e camioncini che si affollano sopra e sotto la strada, e pure sotto terra: che proprio qui, di fianco alla Casa del Boia, il traffico di Genova è su tre livelli: il viadotto, la strada, e il sottopasso.
Entro al Mercato, sono le otto e tre, nessun ostacolo nessuno controllo. Vado via come se fossi unto e comincio a guardare le facce e annusare l’aria. Le foto, ognuno le vive a suo modo, e poi racconta il processo alla sua maniera: c’è chi cerca l’istante e chi il graffio, chi cerca il segno e chi il respiro. A me succede così, che ad un certo punto comincio a liquefarmi e divento un accidente del posto dove sono, e a quel punto quardo dentro il mirino e i rettangoli di luce mi si incollano addosso. Non sento più nulla se non le voci del luogo: che a volte sono solo il silenzio. Quindi l’energumeno con la divisa da Vigile Urbano deve scuotermi, perché mi sta chiamando da minuti e io non gli rispondo. Anzi, a giudicare dal sopracciglio alzato, mi deve aver chiamato più di una volta. Per la verità mi sta chiamando “Capo”, e questo giustifica parzialmente la mia disattenzione. Dice che non si può fotografare. Io faccio gli occhi a palla, che nemmeno il cefalo da 2 chili ai miei piedi, ma lui fa sì con la testa, è proprio così. Siccome non accenno a muovermi dalla sua stessa mattonella mi dice Ci vuole il permesso. Il permesso di chi, Del Direttore, Il Direttore dov’è, Là dove, sia gentile, Là, e punta il mento verso il nulla, Il signore con i capelli bianchi, Sì, il signore brizzolato, Ma è lui, No, è quello vicino allo sgabbiotto, Grazie. In tutto questo la cosa più strana è che un pubblico uffiziale nell’esercizio delle sue funzioni s’attardi a farti notare che la capigliatura del tizio è brizzolata, non bianca.
Vado nei pressi dello sgabbiotto, che è severamente disabitato. Un signore con un foglio in mano mi chiede se ho bisogno e io dico che mi serve il permesso. Lui: Bisogna fare la richiesta. Sono qui per fare la richiesta, Eh no, bisogna fare la richiesta scritta, Non c’è problema mi dà un foglio e faccio la richiesta, Sì ma poi bisogna inoltrarla, La inoltriamo, Eh no, deve essere valutata. Poi aggiunge, Le richieste poi vengono sempre accettate, ma senza richiesta non si può fotografare, Perché, Perché siamo in un luogo pubblico.
Decido di mendicare, ho solo questo giorno e poi chissà quando torno. Mi può aiutare, No, non posso farci nulla, Ma guardi che devo farci un servizio, e gli dico per chi, un milione di telespetattori, verranno a frotte, a Genova! Via del Campo, De Andrè, la focaccia, Anime Salve, l’Acquario, le folle, lo tsunami, le cavallette. Niente, bisogna fare la richiesta. Come a Gwalior nel Mahdia Pradesh nel ’74, bisognava fare la richiesta per cambiare 100 dollari.
Dunque l’Autorità di una città non riesce a risolvere il problema di un operatore che avrebbe pallato di un luogo di quella città, che avrebbe incuriosito gente a visitare quella città. Non ce la fa, a prendere un foglio e a scriverci sopra Permesso. Ho visitato forse 1000 mercati dal Quito a Surakarta, ma è la prima volta che mi sento chiedere il permesso per fotografare i pesci. Forse erano pesci VIP.
Ci sono giorni come oggi che capisco perché la Terra si sta stufando dei bipedi che la calpestano.
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