Mentre saltabeccavo nel retrobottega del ristorante Le Trabe, al Famoso Salone della Mozzarella, un corazziere in giacca bianca mi mette gli occhi in faccia e dice,
Matù, matù. E io dico
Sì ero a cena da te l'altra sera. Lo sguardo di Andrea Aprea si fa interrogativo, io faccio un sospirone e gli dico cosa mi è piaciuto e cosa no. Molto no. Il racconto del
Vun è in linea, e non è un peana per il ristorante del Park Hyatt Milano. Anzi.
Gli dico che la pasticceria non mi è piaciuta, e continuo a guardarlo negli occhi. Aprea non è esattamente un bimbo con la pelle di pesca: ha girato il mondo da giovanissimo, ed ha scorza dura, le critiche non lo abbattono: chiama il ragazzo che sta con lui. Galileo sembra appena uscito dalla Ferramenta Cunningham, ha il gesto gentile e fa il pasticcere. Dico ancora che i dolci non mi sembravano all'altezza e loro spiegano, dicono, raccontano. Io soffio come una locomotiva a vapore, e sento che lì, nelle bollenze della cucina, è il posto giusto per dire le cose. Le dico.
La mattina dopo incontro Aprea prima della lezione. Ha letto il pezzo sul Vun e mi dice
Uè, m'hai fatto 'na chiavica. Gli dico
Naa. Quello che ti ho detto ieri sera. Sto male ma sto bene, per dirla con i Blue Vertigo, perchè almeno non ho fatto
frin frin e non ho bagattato un sorriso con una faccia. Quel giorno Andrea e Galileo hanno portato al laboratorio un dolce spaziale, in carta al Vun, ma io non l'avevo scelto.
Ogni volta che parli con un cuoco, ogni volta che scopri che dietro la giacca bianca batte un cuore, in rari casi due, diventa più difficile essere affilati. E dirsi che è necessario essere affilati. Del resto scivola via facile un Tuttobène
in your face, e un corrosivo testo nella solitudine protetta della tua cameretta.
Mi ci dovrò riflettere.