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Una volta la televisione non c’era e nemmeno Internet c’era. Una volta non era “l’ha detto la tv” o “l’ho letto in Rete”, ma “l’ho sentito alla radio”. E tanto bastava per credere che una notizia fosse vera, per sapere come stava andando lo sbarco in Normandia, che la guerra era finita, per immaginare che davvero gli alieni stessero invadendo gli Stati Uniti, come raccontato alla radio da Orson Welles nel 1938. Era il potere della voce, di una bella voce che racconta una storia cui diventa facile credere, anche con l’aiuto della nostra immaginazione.
E oggi, decine e decine di anni dopo, quello che può essere considerato il primo e più antico mezzo di comunicazione si sposa con quello più moderno per dare vita a un social network che appunto si basa solo sull’audio: su Clubhouse non ci sono immagini, foto, video, storie, reels o chissà che altro. Solo voci, persone che parlano e persone che ascoltano. E niente altro a distrarre.
Clubhouse è stato fondato da Rohan Seth e Paul Davison, due ex dirigenti di Google e Pinterest (dove Cucchiaio d’Argento ha la sua bacheca), ed è stato diffuso ad aprile 2020: in meno di un anno ha raggiunto il primo milione di utilizzatori ed è arrivato a valere 1 miliardo di dollari (cifre aggiornate a gennaio 2021). Tutto questo nonostante che sia al momento disponibile solo per iOS, dunque solo per gli iPhone, e soprattutto che sia “a inviti”: senza il via libera di qualcuno che è già dentro, non si entra. Come in una vera clubhouse, insomma.
Come si fa a entrare e come funziona
Nei giorni scorsi, in redazione abbiamo usato uno di questi ricercatissimi pass, per ottenere i quali sono stati aperti canali su Telegram e pure siti, in Italia come in altri Paesi europei, e migliaia di persone si sono messe virtualmente in coda via mail: dopo avere scaricato l’app, si inserisce il proprio numero di telefono come su Whatsapp, così che si possa essere “verificati”. Poi si aspetta. Per noi l’attesa è durata poco: in un paio di giorni abbiamo ricevuto un sms (sì, un altro mezzo di comunicazione di una volta) da un nostro conoscente che ci invitava a entrare in Clubhouse.
Al primo accesso, l’app permette di scegliere un’immagine che ci rappresenti, di collegare un eventuale profilo su Twitter e su Instragram, anche di scrivere una breve biografia; tutto è visibile da tutti sulla propria pagina iniziale, insieme con il nome della persona da cui si è stati invitati. Successivamente si viene invitati a seguire (più o meno come si fa sugli altri social network) almeno 25 persone e anche a scegliere gli argomenti che interessano, così che l’app possa proporci i contenuti giusti.
Clubhouse è diviso in macroaree (tempo libero, sport, tecnologia, arti, fede e così via) che a loro volta sono divise in stanze, che sono il cuore dell’app: ognuna è dedicata a uno specifico argomento, oppure è una specie di talkshow virtuale dedicato a un argomento. Noi siamo chiaramente andati a cercare quelle su cibo e alimentazione, che al momento sono davvero poche: sono praticamente tutte in lingua inglese, non c’è quasi nulla che parli di ricette, ma alla voce Wellness ci sono parecchie stanze dedicate a Nutrition, Veganism e in generale a benessere, diete e regimi alimentari.
Fonte Google trends: le ricerche di “clubhouse” in Italia nelle ultime 3 settimane.
Fra gli esempi più interessanti, impossibile non citare The Good Time Show, la trasmissione condotta da Sriram Krishnan e Aarthi Ramamurthy cui la settimana scorsa ha partecipato l’imprenditore Elon Musk. Ha avuto talmente successo che ha raggiunto rapidamente il limite di 5mila accessi contemporanei imposto per ogni room, un secondo limite di 5mila in una seconda stanza che ritrasmetteva l’audio della prima e un terzo limite di 5mila in una terza stanza che ritrasmetteva l’audio della seconda. Che ritrasmetteva l’audio della prima.
Record e numeri a parte, per capire come funzionano le stanze di Clubhouse è utile pensare a una conferenza, o anche a una festa: si entra, si ascolta la persona che parla, si passa da un gruppo di persone a un altro, ci si ferma a sentire quello che interessa, anche si alza (virtualmente) la mano per chiedere di intervenire, si attende il via libera del moderatore e si parla. E poi si torna ad ascoltare, tutto in diretta.
Le ragioni del successo di Clubhouse
Perché questa app piace così tanto? Perché le si è creato intorno così tanto hype, così tante aspettative? Sicuramente c’è l’effetto novità, perché questo social network è in effetti parecchio diverso da tutti gli altri e si basa poco sull’apparenza e molto sulla sostanza; poi c’è l’interesse dei personaggi famosi, delle celebrità, dei vip, che sono stati (ovviamente) invitati per primi e hanno iniziato a utilizzarlo in massa, cui è seguito (altrettanto ovviamente) quello dei giornalisti e in generale dei mezzi d’informazione.
Ma il “segreto” di Clubhouse, l’idea intelligente che al momento lo sostiene, è semplicemente il fatto di essersi basato su uno dei modi di comunicare più semplici, veloci e meno invadenti: come dimostrano gli amati/odiati vocali di Whatsapp, il successo degli audiolibri e quello dei podcast, che negli Stati Uniti e pure in Italia stanno conoscendo una seconda giovinezza e un nuovo boost di popolarità, la voce è perfetta per essere utilizzata mentre si fa altro, da ascoltare mentre si cucina, mentre si guida, mentre ci si prepara per uscire. È l’essenza del multitasking, insomma. Inoltre, sentire senza poter vedere è un ottimo stimolante per la propria immaginazione e permette di arricchire qualsiasi storia con un po’ della propria fantasia e della propria creatività, in qualche modo partecipando anche senza sapere di partecipare.
Un fuoco di paglia che non durerà? Sembra proprio di no: a metà dello scorso dicembre, Twitter ha iniziato la sperimentazione di Spaces, che permette proprio di creare spazi in cui chiacchierare, definendola “un’esperienza incentrata sulla profondità della voce”. Per ora è volontariamente limitata a un gruppo ristretto di persone, soprattutto donne e appartenenti alle minoranze più spesso molestate o bullizzate online, ma tutto funziona esattamente come su Clubhouse: si sceglie un argomento, si crea una stanza, si accettano i partecipanti, si chiede il permesso di parlare, si silenzia chi è aggressivo, maleducato, volgare.
aye we’re live! what up y’all, we're the team behind Spaces––a small experiment focused on the intimacy of the human voice🧵
— Spaces (@TwitterSpaces) December 17, 2020
Le critiche, i rischi, i primi errori
Sono soprattutto due i problemi che Clubhouse si sta trovando ad affrontare in questi mesi di grande successo. Anzi: sono tre, ma uno potrebbe sparire piuttosto rapidamente ed è quello che citiamo per primo.
L’app ha ricevuto molti complimenti per essere in qualche modo un sistema “chiuso”, ma pure molte critiche: la scelta di un accesso a inviti viene considerata poco democratica e inclusiva, così come anche il fatto di non essere disponibile per gli smartphone Android taglia fuori un’ampia fetta di pubblico. Quest’ultimo problema dovrebbe essere risolto nei prossimi mesi, visto che una decina di giorni fa la società ha annunciato online che “inizieremo presto a lavorare sulla versione Android” e pure che sempre più contenuti verranno tradotti in lingue diverse, “così da renderli accessibili a persone da varie parti del mondo”.
Quanto alla questione del “non va bene l’accesso a inviti”, i due fondatori lo hanno giustificato in parte anche con la necessità di avere un’infrastruttura tecnologica che permetta a tutti di avere un’esperienza fluida e godibile (semplificando: meno persone entrano, meno necessità c’è di avere server e connessioni super performanti) e in parte con il desiderio di avere un team di moderatori abbastanza ampio da controllare per bene quello che accade e quello che viene detto. Che è l’altro problema: già un paio di mesi dopo la sua nascita, e poi ancora lo scorso settembre e di nuovo di recente, l’app è finita al centro delle polemiche per stanze in cui si parlava, anche in termini piuttosto violenti, dei giornalisti e del ruolo dell’informazione e pure per alcune conversazioni che sono sfociate rapidamente e pericolosamente verso anti-semitismo e altre forme del cosiddetto “hate-speech”.
L’altro problema è la pornografia, che su Clubhouse già c’è sotto forma di racconti erotici (e piuttosto espliciti), anche se appena viene scoperta viene fatta rapidamente sparire: è il rovescio della medaglia del potere della voce combinato con la nostra capacità di immaginare, che possono essere utilizzate per i più diversi scopi. Sono le stesse caratteristiche che erano alla base della chat telefoniche a luci rosse di inizio anni Duemila e sono un po’ gli stessi problemi che hanno avuto, affrontato e (più o meno) risolto quasi tutti i social network. E probabilmente riuscirà a farcela pure Clubhouse...
di Emanuele Capone
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