Tante ricette per tutti i momenti della giornata perfette per celebrare la stagione più attesa dell'anno!
Ecco qualche curiosità per conoscere questo piatto invernale della tradizione popolare della cucina lombarda: la sua storia e le sue varianti, quali vini abbinare e come farlo a casa.
Per i lombardi, soprattutto sull’asse Pavia-Milano-Brianza, la Cassoeula è il piatto cult dell’inverno. Tralasciando le temperature elevate di questo autunno che tarda ad arrivare, tradizione vuole che agli inizi di Novembre arrivi in tavola il piatto rustico e sostanzioso a base di maiale. Di tutto il maiale (di cui come si sa: non si butta via niente!). Le sue origini sono incerte ed esistono parecchie scuole di pensiero, ma la ricetta contadina viene tramandata da secoli. Nelle osterie di Milano (ma anche nei locali gourmet) viene servita nella sua versione classica come pilastro gastronomico della Pianura Padana. Un piatto tutto da (ri)scoprire.
Entro i confini lombardi non ci sarebbe bisogno di spiegazione, basterebbe il nome, ma la cassoeula non è propriamente un piatto nazional popolare. Questo stufato di verze e carni di maiale, “scarti” compresi, nasce per affrontare le fredde e nebbiose giornate di inizio autunno e di tutto l’inverno. La stagione è quella delle verze, ortaggio che prima di finire nella casseruola a cuocere, deve, per tradizione, aver preso rigorosamente la gelata nell’orto, condizione che rende le foglie tenere e accorcia i tempi di cottura.
Un piatto sostanzioso, corroborante, non certo light, che vale la pena di assaggiare e conoscere. I tagli meno nobili del maiale, come piedini, orecchie e cotenne vengono messi in un ampio tegame con costine, salsiccia e verzini (salamelle o luganega, a seconda delle usanze e delle zone). Alle carni ben rosolate si aggiunge poi abbondante verza stufata con carote, sedano, cipolla e brodo di carne. Quando il tegame fumante è pronto, si versa in una pirofila e si accompagna al paiolo di polenta (diremmo praticamente d’obbligo).
Oggi è assai difficile trovare in menu una cassoeula preparata alla maniera tradizionale, anche se qualche trattoria in puro stile Vecchia Milano la contempla ancora, assieme a mondeghili, ossobuco e risotto al salto. La versione del piatto con cotenna, piedini e orecchie è stata via via ingentilita e alleggerita perlopiù aggiungendo le sole costine, salsiccia e verzini, per incontrare i gusti che si sono evoluti nel tempo. Di questo bottaggio lombardo ne esistono diverse varianti, a seconda della provincia. A Milano è brodosa, non particolarmente rossa, con la carne scioglievole e quasi sfaldata. Anche in provincia di Pavia, dove si chiama ragò, sia le carni che la verza sono molto morbide, e le parti meno nobili del maiale non compaiono quasi mai. In Brianza, invece, è più asciutta, mentre nel comasco si usa la testina del maiale. A Vigevano e in Lomellina, al confine con il novarese, la carne di maiale viene sostituita con quella d'oca in tutte le sue parti, compresi i durelli, che conferiscono un sapore particolare al ricco piatto invernale.
Preparare la Cassoeula milanese con tutti i crismi, non è complicato. Per prima cosa si tagliano le parti meno nobili della carne a tocchetti grossolani e si passano sotto acqua fredda. Si lasciano bollire per circa un’ora, in modo da sgrassare leggermente il tutto. A parte si prepara un soffritto molto fine con sedano, carote e cipolle e un filo di olio evo. Si aggiungono le costine, la salsiccia a pezzi, e i verzini; si sfuma con il vino bianco, e si procede a cuocere irrorando con del brodo di carne. A cottura quasi terminata si aggiungono cotiche e le parti meno nobili del maiale, e si lascia riposare con il coperchio. E’ il momento di dedicarsi alla verza: le foglie lavate e tagliate grossolanamente si inseriscono in un tegame con poca acqua, e concentrato di pomodoro. Si aggiusta di sale e pepe. Quando la verza sarà quasi cotta si aggiunge la carne cotta precedentemente. Si lascia cuocere a fuoco lento per circa un’ora sino ad ottenere una carne ben cotta, morbida e che si stacca dall’osso senza particolare difficoltà.
Chi preferisce la versione “light” o non gradisce particolarmente cotenna&co, potrà seguire lo stesso procedimento, saltando ovviamente i passaggi di cottura delle parti meno nobili.
Un piatto dai sapori variegati, dal sentore dolce di cavolo della verza, alla sapidità della salsiccia e dei verzini, e la consistenza densa delle parti più grasse. Quale vino abbinare alla Cassoeula per non sbagliare? Rosso, bianco o bollicine? Tutti e tre. Partiamo con uno champagne, perché su un piatto della tradizione un po' rustico il contrasto con vini fini è meraviglioso. Un'etichetta: l'ultima cuvée Blanc de Blancs 2013 di Bruno Paillard. Passiamo ad un grande e pregiato classico, un barolo con una bella struttura, con sentori di frutta rossa, prugne nere, e liquirizia, come il Perarmando di Parusso, con uve di uve di Nebbiolo provenienti dai CRU Mariondino, Mosconi e Bussia. Infine un soave, divertente e vulcanico come il Suavia di Monte Carbonare.
Le sue origini sono ancora incerte: una scuola di pensiero la vede arrivare dal nord Europa, in particolar modo dall'Alsazia, dove si prepara la famosa Choucroute, piatto sostanzioso preparato con carne di maiale e verza fermentata. Alcuni studiosi la considerano invece una sorta di versione semplificata di un piatto della cucina barocca, a base di carni diverse -suino, ovino, pollame -risalente al 1500. La ricetta più popolare però, giunta fino ai giorni nostri, compare nei ricettari dal XIX secolo come piatto della ritualità contadina da portare in tavola soprattutto per Ognissanti e nel giorno di Sant'Antonio, il 17 gennaio.
Tradizionalmente la Cassouela, che è un piatto simbolo della stagione invernale, è legata a momenti ben precisi in calendario. Il primo: Ognissanti. Questa data coinciderebbe con le prime gelate nell’orto, quando le verze sono coperte di brina e le foglie più tenere e dolci, perfette per la preparazione della ricetta. Oggi, con i cambiamenti climatici, questa caratteristica potrebbe essere difficile da ritrovare nell’ortaggio, ma il piatto riuscirà comunque. La seconda ricorrenza, invece, è religiosa: la festa di sant'Antonio abate, il 17 gennaio, giorno in cui vengono benedetti gli animali e, per tradizione popolare, si conclude il periodo di macellazione del maiale. Nessun giudizio a chi non rispetta le usanze in calendario: la Cassoeula -anche se non è digeribile come un finocchio crudo -va bene sempre.
La ricostruzione storica delle origini della Cassoeula è confusa tanto quanto quella etimologica. Il nome del piatto, infatti, potrebbe derivare dall’ utensile da cucina con il quale veniva preparato, ossia il cassoeu, mestolo in dialetto milanese. Per altri sarebbe un riferimento al tegame in cui cuoce: la casseruola. Cassoeula, letterale dal dialetto lombardo , significa tuttavia "cazzuola", l’arnese da lavoro dei muratori per spalmare la calce tra i mattoni. E qui si apre un’altra storia che si tramanda da secoli: per resistere durante le fredde giornate di lavoro, i muratori usavano rifocillarsi con uno stufato di carne di maiale e verze, rimestando il tutto in pentoloni di alluminio con la cazzuola al posto del mestolo. C’è chi la chiama anche “Bottaggio”, probabilmente di derivazione francese potage, ossia minestra. Non si sa a chi credere, insomma. Tra dizionari e usanze, calendari e leggende, meglio l’assaggio.
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