C’è una strada che si sta delineando sempre più come il futuro di quella zona vinicola, la
Franciacorta, che ci stiamo abituando a considerare quale protagonista della scena del metodo classico italiano. Questa via, alcuni vigneti posti bordo autostrada permettendo, è sicuramente quella della riconversione al biologico. Della qualificazione dei vigneti e delle aziende come strutture produttive biologiche. Sono sempre più numerose difatti in terra franciacortina le aziende che imboccano, non come furbesca scelta commerciale o d’immagine, ma come naturale evoluzione del loro operare, la strada, lungamente meditata e non banale, del bio. E tra queste, l’immaginario Oscar di prima azienda biologica franciacortina, che nel 1998 ha iniziato la propria sperimentazione sulla viticoltura biologica e dal 2001 ha visto tutti i propri vigneti,
47 ettari divisi in 25 particelle dislocate nei comuni di Provaglio d’Iseo, Corte Franca, Adro e Passirano, certificati bio, vigne dislocate in alcune delle zone più vocate della Franciacorta per esposizione e composizione del terreno, è la
Barone Pizzini. Una bella cantina, costruita nel 2006 secondo criteri di
architettura ecocompatibile, che risponde all'impegno di
rispetto dell'ambiente e qualità della produzione in quanto tutte le scelte architettoniche, funzionali e materiali, sono tese a garantire un basso impatto ambientale e consumo energetico, che si trova in una zona particolarmente affascinante della Franciacorta, in località San Carlo a Provaglio d’Iseo. Circondata dalle colline vitate “e contigua alla riserva naturale delle Torbiere del Sebino, su cui si affaccia il complesso del Monastero cluniacense di San Pietro in Lamosa, con la maestosa e tranquilla presenza del Monte Guglielmo a completare lo sfondo”. Alla Barone Pizzini, diretta da un vecchio amico (purtroppo tifoso della “altra squadra di Milano”) come Silvano Brescianini, sono persuasi che la coltivazione bio ”migliora la vitalità degli strati esplorati dalle radici estendendo nel tempo, in profondità, una fertilità equilibrata ed attiva. L’espressione del
terroir si realizza così in modo incontaminato ed irripetibile attraverso un rispetto degli organismi insediati spontaneamente e l’elaborazione dei minerali forniti naturalmente dal flusso dinamico della vita. Una garanzia di qualità e di salute che si protrae nel tempo e che si distingue da un metodo di coltivazione convenzionale, supportato dall’introduzione artificiosa di sostanze estranee alla natura, che invece è viziato da supporti temporanei e spesso non sostenibili”. Detto del metodo, che porta alla adozione della sostanza organica a sostegno della fertilità e di elementi naturali come zolfo e rame per il contenimento dei parassiti, per mantenere la vite in equilibrio in modo armonico, occorre ora parlare dei vini, che compongono
una gamma coerente e di assoluto livello. Che si tratti del Nature, dell’Extra Brut, del Brut o del Satèn. O della Riserva Pas Dosé denominata Bagnadore. In questa sede ho ovviamente scelto di parlarvi del
Rosé, che con l’annata 2008 è stato dichiarato “Miglior vino biologico al mondo” nell’ambito
dell’International Wine Challenge 2012. Un vino, da uve Pinot nero 80%, Chardonnay 20%, provenienti da vigneti denominati Ciosèt, Troso, Prada, Santella Nord, che si affina sui lieviti per ben 34 mesi, non tocca legno, a differenza di altri rosé franciacortini titolati che dalla barrique ricevono un “bacio della morte” che annulla ogni piacevolezza, e nonostante l’indubbia struttura abbina doti di freschezza e godibilità (perché i vini e le “bollicine” soprattutto quando si stappano bisogna berli e se non si riesce a farlo è perché sono sbagliati) non indifferenti. Bellissimo il colore, un rosa antico, cerasuolo scarico, di smagliante brillantezza, sottile e continuo il perlage con le
bulles a rincorrersi nel bicchiere ampio. Inconfondibilmente di stampo franciacortino, e della migliore “razza”, il naso, con la carnosità succosa del frutto tipica di questa zona, tutto lampone e ribes, ma con striature agrumate di pompelmo rosa e mandarino e accenni di rosa a delineare un bouquet ampio, complesso, suadente al punto giusto ma fresco e vivacizzato da una vena salata. Gustosa, piena, ampia, con bella ciccia e sostanza, la bocca, cremosa e ricca la bolla, per un vino più ampio e sostanzioso che verticale, giocato su un grande equilibrio, su una calibrata vinosità, anche se la persistenza è lunga, scandita da un bel nerbo acido e da una certa sapidità. Un bel Rosé, da bere copiosamente a tavola, di cui sarebbe fiero, credo, anche il Barone Giulio Pizzini Piomarta Von Thurberg, giunto da Rovereto in Franciacorta intorno al 1870 per fondare, con dinamismo "asburgico, questa azienda da tenere attentamente in considerazione. Perché sono certo saprà riservare a noi “bollicinari” ben altre sorprese…