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Il governo vuole vietarne la produzione, la vendita e la distribuzione sul territorio italiano: spieghiamo come si fa e perché è diversa dalle altre alternative alla carne tradizionale
Le alternative alla carne come l’abbiamo sempre intesa (almeno sino al 2019, più o meno) sono sostanzialmente 3: la carne vegetale, la carne stampata e la carne coltivata, elencate qui in ordine crescente di difficoltà produttiva e costo.
Di seguito le spieghiamo nel modo più semplice possibile, iniziando dall’ultima perché è quella finita nel mirino del governo italiano, dopo il passaggio in consiglio dei Ministri di un disegno di legge che vuole vietare la sua produzione, vendita e distribuzione sul territorio nazionale.
Una battaglia di civiltà. A difesa della salute dei cittadini, del nostro modello produttivo, della nostra qualità, della nostra cultura, semplicemente la nostra SOVRANITÀ ALIMENTARE 🇮🇹 pic.twitter.com/kFGMnvlbMB
— Francesco Lollobrigida 🇮🇹 (@FrancescoLollo1) March 29, 2023
L’espressione “carne sintetica” è impropria: sarebbe più corretto parlare di carne coltivata, perché di questo si tratta: semplificando, si prelevano le cellule dalle mucche, le si nutre (le cellule, non le mucche) e le si fa crescere in laboratorio. Le si possono coltivare in vitro oppure utilizzando un bioreattore simile a quelli usati per la produzione della birra o dello yogurt e alla fine del procedimento si hanno parti dell’animale con cui preparare i tagli di carne che si vuole. Secondo le stime, da ogni mucca si potrebbero ricavare 175 milioni di hamburger, invece del mezzo milione che se ne ottiene ora con la semplice macellazione.
È bene ribadire che qui non c’è nulla né di sintetico né di vegetale: le cellule crescono e si sviluppano esattamente come farebbero all’interno di un organismo e quello che ne deriva è carne a tutti gli effetti, esattamente come quella che viene fuori dagli allevamenti.
Al momento, l’ostacolo principale alla sua diffusione su larga scala è sia culturale sia economico: i primi esempi di carne coltivata risalgono al 2013, quando Mark Post, un ricercatore dell’Università di Maastricht, in Olanda, realizzò il primo prototipo di hamburger coltivato, che costò circa 1 milione di dollari. Oggi l’intenzione è quella di provare a scendere intorno ai 15-20 dollari per chilogrammo.
Gli ingredienti principali della carne coltivata sono: soia e cellule animali fatte crescere in laboratorio. Contiene ingredienti di origine animale.
Una via di mezzo fra la precedente e la successiva: usando le stampanti in 3D si possono creare dal nulla bistecche, salsicce, polpette e così via. Lo si può fare in due modi: partendo da ingredienti vegetali, con il vantaggio che il procedimento di stampa permette di riprodurre meglio la struttura muscolare degli animali, dando maggiore consistenza al prodotto finito; combinando insieme ingredienti vegetali e cellule prelevate dagli animali e cresciute in laboratorio, con il prodotto che sa di carne perché sostanzialmente è carne.
Quella della carne stampata è una soluzione che sta avendo meno successo di quanto si immaginava un paio d’anni fa, sia perché la carne coltivata sta rapidamente diventando più accessibile sia perché la carne vegetale è già ampiamente accessibile e diffusa.
Gli ingredienti principali della carne stampata sono: soia, piselli, olio di canola, barbabietola rossa. Può contenere ingredienti di origine animale.
Con questa espressione intendiamo le alternative alla carne animale arrivate sul mercato a metà 2019: la maggior parte dei prodotti che si trovano ora in vendita, da quelli dell’americana Beyond Meat a quelli delle italiane Granarolo e Joy Food, sono prevalentemente a base di soia o farina di piselli, con le varie aziende che usano di solito una loro tecnologia per combinarli con cocco, oli vegetali e barbabietola rossa per ricreare la sensazione di grasso e riprodurre il colore della carne.
Gli ingredienti principali della carne vegetale sono: ceci, piselli, fagioli verdi, soia e altri legumi, olio di canola, olio di cocco, olio di cacao, barbabietola rossa. Non contiene ingredienti di origine animale.
Il disegno di legge, a firma congiunta dei ministeri della Salute e dell’Agricoltura e Sovranità alimentare e passato dal consiglio dei Ministri nella serata del 28 marzo, comprende “disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici” e appunto stabilisce il divieto di produzione e commercializzazione sul territorio nazionale di alimenti sintetici, “sia destinati al consumo umano sia destinati al consumo animale”.
Chi violerà le disposizioni sarà soggetto a una sanzione amministrativa “da un minimo di euro 10.000 fino a un massimo di euro 60.000, ovvero fino al 10% del fatturato totale annuo realizzato nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente all'accertamento della violazione, quando tale importo è superiore a euro 60.000, oltre alla confisca del prodotto illecito”.
La norma è stata accolta con entusiasmo dalle varie associazioni di categoria, da Coldiretti a CIA (la Confederazione italiana Agricoltori), e invece con scetticismo da gran parte del mondo scientifico, dalla Fondazione Veronesi al CNR, anche per l’impatto che potrebbe avere sul futuro sviluppo di un’industria del settore in Italia.
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