"Nomi! Che c'è in un nome?" James Joyce, Ulisse
Goceano. Quando, ancora oggi, sento parlare del Goceano mi si spalancano gli occhi, immagino un mare dentro l'Isola, un oceano gutturale e dolce, chiuso ma immenso.
La realtà è diversa, non meno sorprendente però. Il Goceano è nel cuore dell'Isola ed è stato un luogo, il luogo della prima gente che l'ha abitata. Troverete le loro tracce tra Nuraghi, Menhir e Dolmen, vi perderete tra "Domus de Janas" impervie quanto geniali, e tra queste verrete ipnotizzati dal cerchio misterioso di Luzzanas, graffito inspiegabile, che avvicina terre lontane in una spirale che sa di Universo.
Il Goceano è così: terra di misteri, di monti e conche, di silenzi lunghi e fitti, di ricchezze magre, di terre "che puzzano di demonio", che poi sarebbero le acque sulfuree delle terme romane di Benetutti.
Poi è la terra dell'Arvisionadu, vitigno dall'origine e dal nome ombrosi, quasi leggendario come il suo terroir, si racconta che in epoche non lontane se ne producesse anche una versione florizzata. Un'uva in pratica scomparsa, salvata e vinificata da pochi visionari, la si trova oramai solo in qualche ettaro attorno a Benetutti.
C'è chi ci ha costruito una cantina intera attorno all'Arvisionadu, come il sig. Chessa, che con il suo Lesitanus ne rappresenta la migliore espressione in bottiglia. Giallo carico di tutti i fiori del campo, il verde grasso e spinoso si attorciglia al naso mentre la bocca si rilassa tra note dolci e mielose ed uno spigolo di calcare fresco e pulito.
Un vino difficile e sardo, sfrontato ma timido, ha il trucco della Malvasia ma il parrucco del Semidano. Per questo lo vorrei bere con i Papassinos Nieddos (papassini neri) di Benetutti, un dolce non dolce, mandorle, noci e nocciole impastate con la farina, non troppo zucchero, i semi profumati del finocchio a chiudere. Neri e buonissimi, misteriosi, come l'Arvisionadu, come il suo nome.