Per un cantastorie non c'è storia più seducente da raccontare di quella dei popoli: che epicamente avvinti ad un fato cinico e baro, sopravvivono ad ogni genere di vessazioni. E magari si ritrovano unici e compatti ai bordi del mito.
Così è di Carloforte, unico paese dell'Isola di San Pietro, che ha tutte le storie del mondo da raccontare racchiusa in una. E tutto con quell'accento da Gabibbo, però più gentile, quasi provenzale: dicono sia una versione di genovese antico, che rimbalza tra le porticine delle vie, nei sottopassi, e si sposta trascinando profumi intensi, luce calcinante, venti di tre cotte, e sapori mediorientali.
Già, perché tutto passa attraverso la storia delle storie di un popolo migrante: un gruppo di pescatori di Pegli, nei pressi di Genova, non è dato di sapere quanto spontaneamente partirono alla volta di Tabarka. L'isola tunisina aveva spazio per la comunità e grandi banchi di corallo, e una contabilità chiusa attorno alla pesca del prezioso rosso.
Florida, la vita a Tabarka: anche per i pescatori era vita d'inferno. Tanto che - compressa tra urgenze nutritive e contiguità con i popoli mussulmani - sviluppò una singolare gastronomia*, contaminata dalle tradizioni genovesi, i gusti rinnovati, e gli ingredienti locali.
Non tutta rose e viole, la storia di Tabarka: insidiati dal Bey di Tunisi che si ingolosiva delle ricchezze, e dall'esaurimento dei banchi di corallo, alla fine i Tabarkini ripresero la via del mare per fondare alcune comunità: Nueva Tabarka, in Ispagna, e Carloforte in Sardegna.
Anche qui c'era una modesta attività corallifera, ma la grande ricchezza locale era la pesca del tonno. Tonnare, la più grande delle quali ancora in attività seppur a ritmi molto ridotti rispetto al passato, che fortificarono la comunità e consentirono una dignitosa sopravvivenza.
Oggi perdersi tra le strade di Carloforte dà un curioso senso di straniamento: ricorda più un paese della Liguria di Levante più che un villaggio sardo, e quell'accento, dolce e forte, che risuona nelle orecchio. Un dialetto genovese, antico, parlato alla moda dei provenzali, e con le impuntature tipiche della ritmica sarda.
Colori pastello, ma anche tratti più vigorosi e potenti. Cieli blu. Il mare vicino. Le saline con il rosa dei fenicotteri. Il verde - e il profumo - della macchia. Il grigio della pietra. E le buone tavole dove si mangia il mare. Il tonno, quando ce n'è, nella sua forma migliore. DI recente assaggiata Da Nicolo, a Casa di Nicolo Pomata, forse la migliore ventresca della vita.
Chi li conosce i tonni, sanno che la loro carne va trattata diversamente quasi ogni settimana dell'anno, da marzo a ottobre quando il grosso pescione ha dato le uova, e si smolla, si sgonfia, s'annichilisce.
Un servizio fisso di traghetti in mezz'ora ti porta da Calasetta o da Portoscuso: e ne vale la pena.
Fondamentale lavoro di Sergio Rossi,
La Cucina dei tabarchini.