Un soffio caldo prima delle aldeidi. Il Maccagnano di Gagliardi è certamente (la degustazione è una foresta amazzonica di dubbi alti più di noi, ma quel “certamente” stavolta non lo cancello) la più difficile tra le selezioni di Verdicchio di Matelica: sin troppo ignorata da molti, poco amata da altrettanti, gode di una piccola, combattiva frangia di sostenitori.
Amanti di Collestefano, freschezze germaniche, fragranze nordiche, succhi, limoni e sali, siete avvertiti: voi siete il Barcellona e qui è il Real, Coppi o Bartali, Mina o i Napalm Death, Borgogno o Roberto Voerzio, Pommard o McLaren Vale. Umberto Gagliardi sostiene orgoglioso che “il Verdicchio di Matelica una volta si faceva così”.
Tra il paglia e il dorato, con un naso potente, chiaramente etereo, di tisana di malva, cicoria bollita, distillato di albicocche, mele renette al forno, una nota minerale calda, come di ferro in saldatura, attacca poderoso al palato, largo e amarognolo, in totale corrispondenza. L’acidità sotto sotto c’è, dura e senza succo, ma l’alcol scalda. Più sulla frutta secca nella persistenza, potentissima, ma niente Sherry Fino, neppure qui. Rarissimo, forse unico esemplare di Verdicchio di stile palesemente ossidativo.
Non ama né il pesce (dateci giù di carni bianche), né il frigo (bevetelo a 16°), non vira sulle aldeidi nemmeno con una prolungata stappatura, ama l’invecchiamento (ma non cambia molto, però si raffredda). Vi piacerà molto, se vi piacerà.
Punteggio irrilevante, e da prendere con triple molle: in una degustazione cieca dei degustatori insicuri potrebbero anche scartarlo. Il duro prezzo di chi, in un periodo di dilaganti retoriche enologiche della differenza, anticonformista lo è da sempre e per davvero