C’è poco da scherzare su un cognome che, a Roma, sembrerebbe tanto un modo per esprimere solidarietà e vicinanza umana al produttore. Quando ci si chiama Porello e si posseggono quindici ettari vitati in quella splendida zona vinicola che è il Roero, zona sinistra Tanaro, area paesaggistica meravigliosa, terra vocata all’agricoltura come poche, patria di celebrati ortaggi (asparagi in primi e porri, che anche se non sono quelli celeberrimi di Cervere sono altrettanto buoni) e di pesche meravigliose – Canale è centro di un famoso mercato ortofrutticolo – non si è… porelli affatto, ma si ha il privilegio – l’onore e l’onere – di rendere omaggio alla terra in un posto magico. E si ha la responsabilità di far trionfare le ragioni della terra, la sua voce, su quelle di un Ego che talvolta porta il produttore e vinificatore a prevalere sul viticoltore.
Nel caso di Marco Porello, faccia da brava persona, lo si capisce subito dalla prima volta che lo si avvicina, questo non accade, perché in tutti i suoi vini, che sul territorio italiano sono distribuiti da un distributore d’eccellenza com’è Cuzziol Grandi Vini (non solo grandi Champagne come Bruno Paillard, Gonet-Médeville, Monmarthe, Mandois, ma grandi vini francesi quali Marcel Deiss, Claude Dugat, Hubert Lignier, Mugneret Gibourg, Confuron, Ramonet, per citarne solo alcuni tra i tanti, e tanti italiani selezionati con intelligenza e curiosità), sono ben fatti e hanno autenticità e carattere.
Si chiamino Roero Arneis Camestri, eccellente, molto promettente per il suo sviluppo, salato e nervoso, il 2014 da poco in bottiglia, oppure Barbera d’Alba Mommiamo o Nebbiolo d’Alba o Roero Torretta, che ha fragranza ed eleganza, sono tutti vini pensati - ecco la tautologia lapalissiana del martedì mattina – dalla parte del consumatore, per essere bevuti e goduti e non per compiacere onanisticamente stampa specializzate e guide che non guidano.
In una recentissima degustazione milanese di tanti prodotti Cuzziol, dove ho scoperto un Elba rosato da favola di cui vi parlerò, di Porello ho particolarmente apprezzato il Langhe Favorita 2014, solo 12 gradi e mezzo, figlio di un’annata capricciosa per i rossi che però sui bianchi si sta dimostrando benigna. Cosa sia la Favorita l’ho già spiegato in un precedente articolo e non faccio altro che riprendere pari pari le mie parole.
La Favorita, coltivata in maniera complementare all’Arneis nel Roero e, poco, nella Langa del Barolo, non sarebbe altro, dicono gli ampelografi, che una variante piemunteis del Vermentino (o del Pigato, che poi sarebbe la stessa cosa).
Un’uva il cui nome fa pensare che sia particolarmente gradita ai viticoltori locali, chiamata affettuosamente anche Furmentin, per quel suo colore giallo dorato che ricorda il grano al momento della mietitura, che sinora non ha dato i risultati che ha invece dato in Liguria. E nonostante sia inserita, con sotto denominazione con indicazione di vitigno, nella Doc Langhe, non viene particolarmente rivendicata e utilizzata. Ed i risultati che si ottengono spesso non sono particolarmente esaltanti.
Anche se sui bricchi del Roero ha trovato la sua terra d’elezione fin dalla fine del secolo XVII - nel 1676 i libri di cantina dei conti Roero di Vezza e di Guarene indicano la vinificazione in purezza di “favurie” - grazie ai terreni più sabbiosi e asciutti, che ne frenano la forte vigoria vegetativa e consentono di portare a maturazione ottimale il suo grappolo dorato, mentre in terreni compatti non raggiunge risultati soddisfacenti e spesso viene attaccata dal marciume grigio prima di giungere a completa maturazione. Però, anche se oggi non viene più considerata solo come un’eccellente uva da tavola come accadeva tra Ottocento e inizio Novecento, e non si pensa a lei come una delle uve bianche più adatte a produrre spumanti, insieme a Cortese e Moscato, o come ottima materia prima per la cura dell’uva, non si può dire che abbia sfondato. Peccato, perché coltivata nei posti giusti e dalle persone adatte dà sorprendenti risultati.
Lo dimostra questa Favorita 2014, esclusivamente vinificata in acciaio, di Marco Porello, colore paglierino intenso, brillante, molto luminoso, splendente, dotata di profumi sorprendentemente densi, caldi, agrumati, di grande intensità, fragranza e finezza, molto appealing senza scadere nella ruffianeria. Ed in grado d’instillarti più di un dubbio sul fatto che davvero tu non ti trovi di fronte ad un Vermentino svernato in terra piemontese.
Eccellente, golosa, fresca, ben consistente e grassa, con una bellissima continuità con la parte aromatica, al gusto, ampio, ricco di sapore, vivacizzato da un nerbo salato e da una mineralità, una freschezza, un’acidità calibrata, un’armonia, che la rendono perfetta non solo in questo periodo che in Alto Adige definirebbero “spargel zeit”, ovvero tempo d’asparagi, ma per tutta l’estate, abbinata a frittate con verdure ed erbe di stagione, primi piatti a base di verdure e di pesce, antipasti freddi e preparazioni dove il pesce, anche d’acqua dolce, sia protagonista. Prosit!