"Oh com'è bella l'uva fogarina
oh com'è bello saperla vendemmiar
a far l'amor con la mia ohi bella
a far l'amore in mezzo al prà.
Diridin din din, diridin din din
diridin dìn din, diridin din din
diridin din din, diridin din din
diridin din din, diridin din din"
Ecco, una rara vinificazione di uva Fogarina, quella della canzone, che cent'anni fa era così diffusa nella zona della bassa reggiana da costituire il vitigno preminente. Poi successe qualcosa di burocratico: fu accorpata ai vitigni Lambruschi e non ebbe definizione propria, per cui declinò fino a scomparire, persa nell'oblio.
E' una varietà tardiva, dal gran corpo sanguigno ma di basso tenore alcoolico, che be si presta alla fermentazione ancestrale, come usano dire quelli bravi: cioè la presa di spuma tradizionale con la rifermentazione in bottiglia. Sia resa lode ad Amilcare Alberici che s'intestardisce a produrre artigianalmente poche bottiglie di questo "Fogarina" - millesimo non specificato in etichetta, scommetterei sul '12 - dove l'uva del titolo è assiemata ad altre uve Lambrusche, per ottenere un prodotto che non brilla di compostezza ma viaggia garrulo nel bicchiere come quelle ottobrate che inciampano nel caldo di una luce calda e mielosa.
La spuma fiorisce senza esitazione, potente e rutilante d'un viola denso e cremoso, poi svelta svanisce dopo aver compiuto il mestiere suo. Al naso, che chiama tipici le gioie e i dolori delle rifermentazioni naturali, hai le ciliegie ma soprattutto le marasche, e qualcosa di più cupo come una padellata di lamponi tirati a zucchero.
Il sorso è particolare, nitidamente stagliato nel panorama dei rifermentati reggiani: divaricato tra una fruttosa nota grave e dolce, e la tensione quasi elettrica del bordo, salato e fiammeggiante di forza comunicativa.
Non farà innamorare i cantori della grazia, ma per una bevuta schioccante d'emilianità, perfetto è. Abbiatene a catinelle.