Il Dolcetto. Comunque la si guardi, non c’è niente da fare: non è tempo per lui. Troppo serio nella fisionomia per avere successo tra i vini di pronta beva, troppo economico per entrare nel cuore degli enofili, troppo dimesso nell’immagine per incuriosire i grandi gourmet e troppo poco noto ai semplici appassionati per convincerli che si tratta, con ogni probabilità, del massimo rosso da tutto pasto dell’intera penisola (credits
Carlo Macchi, e maturando capisco quanto abbia ragione).
Qui a Dogliani il dolcetto diventa Dogliani, qui mette su un carattere unico, un sapore sublime di sottobosco e un tannino caldo e diffuso. Ricchezza di materia senza perdere nemmeno una briciola della struggente vinosità del vitigno, e un colore scurissimo, figlio della campagna. Il tutto mantenendo un modo di porsi delicato. Il Valdibà 2011 di San Fereolo (manco a dirvi che è uno dei migliori interpreti del vitigno in assoluto) vuole solo essere stappato. Per una volta, fregatevene se non avete i bicchieri da 25 euro, prendete i bicchieri da acqua, versatelo e bevetelo, mangiandoci sopra, che magari non noterete nemmeno quella punta di rigidità tannica nel finale. E se la notate: chevvefrega. Unica cosa: se ce l’avete, appoggiate la bottiglia sopra una tovaglia a scacchi, ruvida, profumata di bucato. Al prezzo di un biglietto del cinema, una piccola perla che ha il solo difetto di tirarsela troppo poco.