Bisognerà raccontare, prima o poi, non capovolgendo, ma equilibrando un’immagine di questa zona vinicola fatta di bresciani rudi, di ex industriali, di vignaioli con due attributi tanto, che la Franciacorta, soprattutto negli ultimi anni, è diventata dominio e teatro anche di vignaiole, giovani e più mature, che riescono a dare il loro contributo allo sviluppo e all’idea di questa area “spumantistica” proprio come fanno i maschietti.
Penso a personaggi che hanno fatto la “storia” della Franciacorta come Emanuela Barzanò Barboglio, Pia Donata Berlucchi, Paola Rovetta, Annamaria Clementi, e a persone come Eleonora Uberti, Giulia Cavalleri, Maddalena Bersi Serlini, le sorelle Cenci, Lucia Barzanò.
E poi ci sono le giovani leve, le figlie di padri e madri che hanno contribuito a “costruire” la Franciacorta, e che già oggi sono protagoniste apprezzate sia in vigna che in cantina, perché molte di loro hanno studiato enologia.
Non so molto sulla formazione di questa donna che ha dato nome alla propria azienda e di cui voglio consigliarvi oggi un eccellente Franciacorta Rosé, ma credo che Elisabetta Abrami, piccola produttrice con cantina in Provaglio, abbia tutti i crismi per fare molto bene la propria parte sull’odierna affollata scena franciacortina.
Innanzitutto produce piccoli numeri, 30.000 bottiglie da 15 ettari vitati tra i comuni di Provaglio, Passirano e Paderno Franciacorta, e ama il Pinot nero, che è una presenza costante, una sorta di filo rosso in diversi dei vini che compongono la sua gamma, dove oltre al Rosé troviamo un Brut (con un 20% di Pinot nero), un Satèn ovviamente base Chardonnay, un Pas Dosé (sempre con il buon 20% di uva borgognona), una Riserva millesimata, dove il Pinot nero sale al 30% e un ottimo Extra Brut millesimato Blanc de Noir, che equivale ad un virtuosismo sul filo a 50 metri dal suolo, ma senza rete. Vino la cui edizione 2009, da me degustata a fine giugno, avevo trovato da standing ovation (prossimamente su
Lemillebolleblog).
Tornando al Rosé, l’ho riassaggiato a fine settembre nella
festosa occasione di Aspettando il Festival, alla
Dispensa pani & Vini di Torbiato di Adro, e l’ho trovato così buono da suggerirne l’assaggio all’amico e collega Carlos Mac Adden, che
ne ha prontamente scritto nelle pagine dell’edizione bresciana del Corriere della Sera.
Nella filosofia enoica di Elisabetta Abrami, il tipo della manager spiccia e capace di decisioni rapide (ha difatti diretto per anni un’azienda metalmeccanica) convertita all’agricoltura, e non come hobby da week end, la pigiatura ha un’importanza fondamentale e solo il mosto ottenuto dalla soffice e leggera prima spremitura viene trattenuto per la produzione dei vini. Ed il
Rosé, non millesimato, è una cuvée composta per il 70-80% da Pinot nero, di e quello giusto (che in Franciacorta comincia a trovarsi: date tempo alle vigne di crescere…), e per la parte restante da Chardonnay. La vinificazione delle uve rosse avviene in rosato, in pressa pneumatica con leggero contatto pellicolare e frazionamento qualitativo dei mosti e la fermentazione avviene parte in acciaio e parte in botti di legno. L’affinamento è minino di 24 mesi sui lieviti seguito da 3 mesi di post dégorgement.
Cosa volete che vi dica, a me che amo i Rosé, ma solo se sono all’altezza e non sono afflitti, come accade talvolta in Franciacorta, da insopportabili eccessi di legno, questo Rosé di Madame Elisabetta Abrami, sboccatura 2013, piace, con il suo colore buccia di cipolla leggermente aranciato, pallido e anti-spettacolare, il naso molto secco, leggermente ossidativo, con note salate dominanti minerali, un fruttato (piccoli frutti rossi di bosco) molto discreto, con buccia di limone e cedro in secondo pano.
E mi piace la sua bocca fresca, e un po' sottile, dove sono l’armonia, l’eleganza, il nerbo a dominare, più che il frutto, che pure c’è e dà struttura e peso al vino, e l’indubbio equilibrio salato minerale e una grande piacevolezza di beva.
Un vino che comincerei a stappare per uno sfizioso aperitivo e che poi porterei con grande piacere a tavola, per gustarmelo su un bel roast-beef, o più proletariamente su buone polpette di carne. Che libidine!