Acciperbacco, quanta vita e quanto Franciacorta è passato sotto i ponti da quella prima volta! Questo il pensiero, del tempo trascorso, tanto e della strada fatta dalla zona vinicola bresciana, che mi tornava alla mente una decina di giorni fa mentre uscito dal casello autostradale di Rovato mi dirigevo verso Bornato di Cazzago San Martino.
Quanta vita trascorsa, “vita fedele alla vita” avrebbe detto il sommo poeta Mario Luzi, da quella prima visita nella primavera del 1987, una vita fa appunto, quando visitai per la prima volta quella cantina con ampia villa antica come collaboratore di una nuova guida, provate ad immaginare quale, che vide la luce nell’inverno di quell’anno.
Questa volta a ricevermi, come sempre sorridenti e ospitali, gran signori con quello stile unico che hanno le persone che signore sanno essere, non avrei trovato, come le altre volte, Paola Rovetta, che ancora vive, ma a Brescia, ed il suo consorte, quel burbero apparente di un Paolo Rabotti, primo presidente nel 1990 del nascente e già ambizioso Consorzio Franciacorta, il quale imprenditore di successo in campo avicolo volle creare la propria cantina, nel 1972, in questo posto un po’ speciale.
Paolo, con la consueta discrezione, se n’é volato nel cielo dei grandi produttori, a 85 anni, il 18 marzo dell’anno scorso e a ricevermi avrei trovato, già conosciuto molto più giovane all’epoca (lo è ancora, considerato che ha un paio d’anni meno di me) il figlio Emanuele, che la Monte Rossa, giacché di questa azienda storica sto parlando, ha saputo progressivamente far crescere sino a governare oggi 70 ettari di vigneti, con varie posizioni dei cru su terreni ed esposizioni diverse “che contribuiscono ad ampliare il patrimonio aromatico delle uve, così da comporre cuvée ricche di struttura e complessità”, sino a portare la produzione della cantina attorno alle 500.000 bottiglie all'anno. Oggi solo Franciacorta Docg, distribuiti su ben otto diverse cuvée, dopo che in passato erano stati prodotti anche vini tranquilli, ricordo un bel Pinot nero, di solida qualità.
Quanta strada è passata davvero da quei giorni e nel frattempo in azienda, stranamente discreto, lui solitamente pirotecnico e scoppiettante d’invenzioni, è entrato, nel 2008, come socio di minoranza Oscar “Mr. Eataly” Farinetti, ma alla Monte Rossa, dove si sta lavorando alacremente alla costruzione di una nuova cantina di rivoluzionaria concezione le cose in fondo non sono cambiate molto da quegli anni.
Si sono fatti crescere, saggiamente distribuiti sulle colline moreniche dei comuni di Bornato, Adro, Brescia, Cellatica, Erbusco, Monterotondo, Provaglio, Provezze, Cologne, Passirano, i vigneti, così che la tradizione contadina si fondesse armoniosamente con la tecnologia, si sono affinate le tecniche di produzione ed il savoir faire, la conoscenza dei diversi mercati, con diversi Paesi esteri ad affiancarsi all’Italia, tanto che oggi Rabotti junior, come mi piace chiamarlo scherzosamente, è uno dei candidati più accreditati a succedere a quel tornado di Maurizio Zanella nelle elezioni per la nomina del nuovo Presidente del Consorzio Franciacorta che si terranno tra qualche mese.
E così, via ai festeggiamenti per questa sorta di enoica retrouvaille (mancavo davvero da parecchio tempo dalla cantina), bagnata da chiacchiere in libertà e dall’assaggio di parecchie vecchie annate, persino un Cabochon 2003 dégorgiato da 8 anni, nonché due 1995, normale e Rosé emozionanti per freschezza ed integrità, grande vinosità e piacevolezza e, incredibile a credersi (la loro sboccatura risaliva a 18 anni orsono) dotati di una bolla ancora croccante, ed un Cabochon Rosé 2005 che ora sì finalmente mi convince e mi “parla”, non come quando l’assaggiai alla sua uscita, quattro anni orsono, rimanendone deluso.
Le cuvée attuali mi sono piuttosto piaciute, soprattutto un largo, pieno, succoso, ricco e strutturato (carattere dei più importanti vini della Maison) Extra Brut 2009, ma il vino che ha maggiormente suggellato la mia visita, io sono un rosatista, lo sapete, è stato il Franciacorta Rosé non millesimato che porta quella sigla P.R. che vuole essere un omaggio ai due fondatori dell’azienda, Paola e Paolo (Ravetta e Rabotti), i genitori di Emanuele.
Un Rosé come piace a me, che è poi riuscito nel “miracolo” di piacere sia alla mia ex moglie e a mia figlia che alla mia attuale compagna, elegante, equilibrato, fatto per farsi bere senza tante storie e accompagnare senza salire troppo sul proscenio i piatti portati in tavola.
Una cuvée, un mix di un 40% di Pinot nero, che conferisce lunghezza e rotondità, e di un 60% di Chardonnay, “che esalta freschezza e piacevolezza”, da uve provenienti da 12 cru diversi, dislocati nei dieci borghi sopra nominati, composta per l’85% da vini ottenuti dai migliori cru e 15% di vino di riserva, con pressatura soffice delle uve e selezione della parte migliore delle stesse per non oltre il 55% della resa. E niente fermentazione malolattica svolta.
Un vino storico per l’azienda, prodotto fin dalle prime annate e già dopo pochi anni rappresentava il 50% della produzione, che vede ogni cru vinificato in purezza, una parte in tini d’acciaio a temperatura controllata e una parte in botti di rovere, con una permanenza sui lieviti di 24 mesi (i tempi sono più lunghi e l’uso del legno più massiccio per il Cabochon Rosé millesimato) e una sboccatura dei campioni da me degustati, abbastanza recente, ovvero dello scorso dicembre 2014.
Bello davvero questo Rosé, colore rosa antico più che buccia di cipolla, brillante e vivo, perlage sottile e continuo nel calice, e una cifra aromatica giocata sulla finezza, sul sale, sulla fragranza, con prevalenza di note floreali e agrumate e una leggerezza, un carattere aereo dei profumi che conquista. Molto bilanciato, di bello slancio e dinamismo, scattante, nervoso il giusto, anche se con un nerbo temperato da una succosa presenza del frutto (ribes e lampone, e pompelmo rosa) il gusto, con una croccantezza viva della bolla e una capacità di farsi bere e ribere, con la sua componente sapido minerale ben presente, davvero da sottolineare.
Il vino giusto per ricordare quel grande uomo, naturalmente elegante, che è stato il creatore di Monte Rossa, quel signore di un Paolo Rabotti…