Nè sull'etichetta, nè sulla controetichetta c'è scritto che questo spumante è un Denominazione tatatà-tatatà. Io che detetsto la didascalia nella sua essenza amo questa forma snobistica, arcigna, cigliosa di dire le cose. L'EBB sta in piedi da solo, senza bisogno di fascette timbri bolli o guarentigie.
Mi piace questa etichetta seria come un atto notarile, privo di indulgenze, per nulla genuflessa all'era dell'apparenza. Mi piace il polveroso logo di questo vino, così ottocentesco da apparire fatto apposta.
Non diremo che è il vino dedicato alla figura carismatica dell'azienda: diremo solo che chi lo fa ne canta le gesta con un bicchiere da cui non puoi che restare sopraffatto.
Spumoso: ha destrezza nel ritirarsi, come l'onda del mare s'asciuga coagulandosi vicino al vetro; profuma di centrotrè erbette in sequenza, dentro l'una via l'altra. Sopra tutto quell'aria di legno di cedro, vibrante.
L'assaggi come masticare gli acini di un grappolo ben maturo, colto direttamente dalla pianta un mese dopo il tempo: dimenticato lì ad arrossire sotto gli ultimi soli. Il frutto s'incastra tra i denti, prendendosi spazio in tutto il pentagramma.
Poi s'allontana, lento, coronato di fulminini.