Bicchiere di misteri, questo. Il primo mistero è il nome, per l'emiliano che in langa va tutte le volte che può, e cioè un milione di volte in meno di quelle che vorrebbe: e solo dopo l'oscuro scrutare - a scanner darkly - da questa parte del monitor ne scopre l'origine, di clivi impervi e ripide discese.
Il secondo è quello dell'assaggio, che al distratto lettore di etichette tutto quel succo non torna con la frammentaria idea di Riesling: italico, ovvio. Tutto quel profluvio di dolcezze al naso, e tutto quel morso viscoso tra le fauci questuanti una spiegazione: è Renano, ovvio. E i teutonismi s'ingolfano sul finale di quel sorso che pare non appassire mai, sconfinare dal crepuscolo all'alba.
E infine il terzo mistero, che un sorso così fitto, imperioso di materia, quasi da affettare con il bordo del cristallo mentre ne suggi il nettare risulta poi così schiettamente bevibile: seduce in modo quasi impertinente, più da ballerina del Crazy Horse che da opulenze ostentate.
Perchè nel giuoco risiede anche la serietà di questo flacone: piemontese nel cuore e tedesco nell'anima, quasi un rompicapo di sciarade in cui la soluzione non è la cosa più importante. Ma l'andare, oh, l'andare sì.