Se si pone attenzione alla variegata mappa della presenza di un vitigno straordinario ed esigentissimo come il Pinot nero in Italia, si scopre che quest’uva (e stiamo ragionando sulla vinificazione in rosso e non sul suo utilizzo come base “spumante”) se da un lato si consolida in zone classiche come Oltrepò Pavese, Trentino, Alto Adige, mantiene uno spazio marginale in Valle d’Aosta, appare in Piemonte, viene piantato e sperimentato in regioni sulla carta non particolarmente adatte come Toscana, Umbria e Marche e fa la sua comparsa persino in Sicilia, sta praticamente scomparendo in aree dove un tempo era decisamente più coltivato.
Mi riferisco all’area del Nord Est, al Veneto, dove pure
qualche inossidabile fan del Pinot nero permane, e soprattutto al Friuli Venezia Giulia dove oggi trovare un Pinot nero è impresa assai ardua. Intendiamoci, anche nel recente passato il vitigno borgognone non è mai stato dominante, sebbene fosse contemplato, da solo o in uvaggio, nelle Doc Colli Orientali, Collio o Collio Goriziano, Friuli Grave, Friuli Isonzo e Friuli Latisana, ed è sempre stato minoritario rispetto alle altre varietà, bianche e rosse, che fanno la storia viticola di queste denominazioni, dall’ex Tocai Friulano ora Friulano tout court al Sauvignon al Pinot grigio alle varietà rosse bordolesi. Però qualche “temerario” in più rispetto ad oggi, produttori che spinti dalla passione per questa uva tremenda, difficile e unica si caricavano sulle spalle il peso e la fatica di volercisi confrontare, pur sapendo che alla fine molto li avrebbero invitati a desistere e a dedicare tempo ed energie ad altre uve meno difficili e più redditizie dal punto di vista economico, se ne trovavano.
Oggi non dico che siamo a livello di mosche bianche, ma quasi, perché bisogna proprio essere degli “innamorati folli” oppure essere persuasi di aver trovato il terroir giusto e la formula adatta, ed un pubblico di “complici” altrettanto innamorati di quel vino per continuare a produrlo. Per “picchiarci il naso” vendemmia dopo vendemmia e alla fine, nonostante tutto, essere felici di continuare a farlo.
Una di queste è senza alcun dubbio l’azienda agricola
Masùt da Rive di Mariano del Friuli (siamo in piena zona Isonzo), storicamente nata verso la fine degli anni Trenta del Novecento per iniziativa di Antonio Gallo, ma dal 1975, per iniziativa di Silvano Gallo passata alla vinificazione in purezza e commercializzazione con proprio marchio dei vini. Questo fino a metà anni Novanta, quando un potente produttore californiano, la E & J Gallo Winery, fece in modo, mediante una battaglia legale che aveva molto l’aspetto di Golia contro Davide che i nostri Gallo ed un’altra azienda, oggi conosciuta come Vie di Romans, rinunciassero a commercializzare i loro vini all’estero rivendicando il cognome di famiglia.
Il testimone del padre Silvano, personaggio di straordinaria simpatia e umanità, è stato oggi (quando i vini sono
distribuiti in Italia da Cuzziol) raccolto dai figli Marco e Fabrizio, ai quali si devono, oltre ai rossi bordolesi, validi Chardonnay, Friulano, Pinot grigio, Ribolla gialla, Sauvignon, Pinot bianco, Refosco dal Peduncolo rosso, ottenuti da una ventina di ettari di proprietà. Ed è proprio Fabrizio il più strenuo sostenitore della legittimità del loro Pinot nero, che fa chiamando in causa la collocazione dell’area vitata sulla latitudine del 46° parallelo, la stessa del
Sud della Borgogna.
Al Pinot nero dedica tutte le attenzioni possibili, lo ama profondamente, ci crede e ha maturato nel tempo uno stile personale e soprattutto elegante, non invasivo nell’uso del legno piccolo francese, che faccia emergere la tipicità inimitabile dell’uva ed il carattere del terroir dove il vitigno, anno dopo anno, si è ambientato e ha trovato il proprio habitat.
La tecnica di vinificazione prevede macerazioni abbastanza lunghe con diversi rimontaggi per favorire l’estrazione dei tannini e degli antociani, quindi una pressatura molto soffice ed un affinamento di un anno in barrique. Il risultato, mi riferisco all’annata 2010, che ho riassaggiato nei giorni scorsi e di cui apprezzo anche il modo sobrio di presentarsi con un’etichetta non appariscente, è molto convincente, sia dal punto di vista della tipicità, perché questo vino ha tutto il carattere ed il fascino del Pinot nero, che dell’eleganza, della misura, della finezza.
Colore rubino di buona intensità e grande brillantezza, luminoso, e subito un bouquet che “ti fa entrare dentro”, che ti cattura per la sua densità e delicatezza, per il suo mix calibrato di frutti rossi di bosco, lampone e ribes e in misura minore la ciliegia, una leggera vena selvatica, boschiva, che progressivamente acquista ampiezza e spessore e calore e sorprende per la sua nitidezza, per la purezza del frutto. Identica sensazione al gusto, che è pieno, consistente, ricco, persino terroso, con una notevole presenza tannica che non aggredisce, che non ha durezze o note amare, ma si fa sentire, e con un frutto delicato, succoso, ricco di polpa, che accarezza e gratifica il palato, che riempie la bocca, ma senza sacrificare un briciolo di freschezza, rimanendo sempre ben teso, dinamico, pieno di energia.
E’ anche grazie a vini come questo che il Friuli Venezia Giulia non deve ammainare la bandiera del Pinot nero e continuarci a crederci. Cosa che sono sicuro faranno in questa cantina di Mariano del Friuli…