Sono vini come l'Etna rosso di Calabretta che ti danno la certezza di aver fatto qualcosa di buono in questa vita. O in quella precedente. Perché bere questo bicchiere colorato d'argilla brillante deve essere un premio che ti sei meritato, non c'è altra spiegazione.
La terra, il Vulcano, la cenere, la zolla spaccata, l'alberello vecchio di Mascalese, tutto torna, insieme, in un bicchiere che, 13 anni dopo la vendemmia, profuma di polvere purissima e nera. Non sono suggestioni, sono corrispondenze che impressionano: un frutto scuro ormai disidratato rincorre sbuffi profumati di macchia mediterranea, dolce e acida, salata e fresca, di melograni spaccati dal sole e dal freddo, fichi di Trinacria e fichi d'India. E poi quella polvere graffiante, esplosiva, pirica.
Il sorso è un'istantanea, un'immagine, un profilo netto. Un tannino largo come il più bello dei sorrisi si poggia, leggero, su una bevuta di persistenza incalcolabile, asciutta e piena, ricca e magra. Il sapore buono della terra chiude, senza alcuna amarezza, un sorso profondissimo, che arriva dritto, caldo al centro della pancia.
Un vino che ancora respira, un vino che esplode vita.