Prendi una domenica di
quasi primavera. Il tempo sembra più lento e tu puoi ridurre le marce per goderti il paesaggio di te stesso. Svegliarsi senza alzarsi e allungando semplicemente il braccio sul comodino e riprendere a leggere da dove la sera prima avevi abbandonato con uno sbadiglio dopo solo una manciata di righe. Fermarsi, anche solo a pensare a come trascorrere la lentezza. E’ già lì che nasce il desiderio: perché lo spaghetto col pomidoro è il frutto proibito, è il simbolo dell’affrancamento dal
“packed-lunch” fugace davanti al pc in ufficio, o dallo spuntino serale per te che non sei ancora abituata a cenare presto: è la conquista del tuo spazio. Lo spaghetto al pomidoro, parafrasando i Manhattan Transfer, è puro
soul food. Soprattutto per me che ogni anno al rientro estivo dalla mia amata terra, faccio “la salsa” con i pomidori
siccagni siciliani e la imbarattolo nei Bormioli Rocco, riponendola poi al buio in cantina quasi con la speranza che miracolosamente si moltiplichi.
Lo spaghetto deve essere tenace, ma senza durezze; la salsa a crudo non ulteriormente ridotta o scaldata la uso per gli ultimi 3 minuti di cottura, cosicché lo spago si impregni del luminoso rosso che si aggrappa pian piano alla ruvidità tessile della pasta. È un rito. Ma non una religione. E così commetto l’eresia.
Il mio
soul wine. All’esame AIS probabilmente boccerebbero per un simile abbinamento in cui il pomodoro con la sua acidità dovrebbe essere bilanciato da ben più morbidi vini. Ma è domenica che diamine, e sono in borghese. Quindi sia!
Il Barolo Brunate - Le Coste di Giuseppe Rinaldi è vino dell’anima, vino dello spirito e vino dell’emozione. In esso è racchiuso tutto ciò che ho imparato ad amare crescendo, e non solo enoculturalmente. E’ il vino che per me ha rappresentato la svolta nel sentire il calice, il superamento della “convenzione” e l’armistizio di fronte alla terra che si manifesta attraverso il frutto trasformato da una mano affatto docile, ma amorevole verso la vite: e senza dubbio grande.
La bottiglia della vendemmia 2005 è una crisalide che racchiude il rubino brillante ma non fitto di un vino rosso come il cuore delle stilizzazioni dei disegni da piccoli. Facile l’obiezione per cui sia presto aprire questa bottiglia, ma risponderei con gioia che dà già molto ora, e con compiacimento avrò modo di riassaggiare le altre 05 con il passare del tempo. I tratti gloriosi dell’evoluzione del nebbiolo delle vigne Brunate e Le Coste sono compressi in potenza, come l’atleta ai blocchi di partenza in attesa dello sparo. Il frutto sorprende il naso, con lampone e ribes, ma è il pepe che solletica e seduce. L’alcol della gioventù freme ancora ma è l’equilibrio di questo vino a turbare i sensi, con un tannino ben definito avvolto in una lieve nuvola gessosa con rara gentilezza.
Resta un che di radice di liquirizia nella persistenza lenta come questa domenica. E se l’abbinamento pare eretico, mi accorgo che l’aglio vestito della macerazione a fuoco lento coi pomidori crudi a pezzi, viene riportato con dolcezza al palato e il basilico si sposa con un’ancora sottile balsamicità.
Un altro po’ di vino nel bicchiere e senza guardare orologi ricomincio a leggere sul mio divano. Rosso.