Dalla piccola cantina del '700 ripiena di botti vecchie e vecchissime, ghiaia nera di scolature di bicchieri e ragnatele, ecco questo Village di gran pasta.
Non è filtrato, e porta una vaga torbidezza appoggiata ad un rubino scarico, con leggeri drappeggi al vetro, a palesare peso e struttura.
Il naso è vastissimo, complesso e composito. Sprigiona sensazioni di fiori recisi e terra, pelle di salame crudo, limone, e una curiosa sensazione di fresco-freddo quasi da vino bianco. Dubitabile l'apertura in cui la verità del frutto integrale è offuscata da ganci muffosi e animali, non propriamente composti.
L'assaggio non ti esime da una presenza agrumata, ruvida e schietta. Poi il tannino che cresce, s'impunta e fiorisce in un centro ritto e vibrante, e un finale radioso. Acido, al limite dell'aspro, si ingentilisce appena dopo l'uscita, lasciandoti non lungo, non spesso ma comunicativo.
Bicchiere da indagare, non prima del 2019.