Abbiamo incontrato Keita, giovane cuoco della Guinea, che ci ha raccontato e cucinato un piatto simbolo sia delle sue origini sia della filosofia del mosso. Leggi tutto
Abbiamo incontrato lo chef del Ratanà e ci siamo fatti dire le sue idee sulla cucina sostenibile (e anche dare due ricette, ovviamente): “Sono le idee che devono viaggiare, non i prodotti.”
Lo chef Cesare Battisti ha 52 anni, è di origine trentina ma è nato a Milano e proprio lì, ormai quindici anni fa, ha aperto il suo Ratanà, un ristorante che è una sorta di oasi del gusto. Il nome deriva dal cosiddetto Pret de Ratanà, cioè dal sacerdote Giuseppe Gervasini da Retenate, che a inizio Novecento dedicò le sue energie ai più poveri e meno fortunati dell’area milanese (Retenate oggi è una frazione di Vignate, cittadina a poca distanza dal capoluogo lombardo).
Battisti è uno che ne ha viste tante, non solo in cucina ma soprattutto in cucina, e quando l’abbiamo incontrato fra i fornelli del Mosso (dove per noi e i nostri lettori ha preparato Pasta tiepida con piselli, erbe e limoni
e Tarte tatin con pomodori perini), non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di fare due chiacchiere con lui. Per parlare del suo lavoro, di dove sta andando e di come cambierà. E degli chef televisivi, anche.sotto salecaramello all’aceto e caprino
Abbiamo iniziato chiedendogli come vede il futuro della ristorazione, ovviamente: “Può essere roseo o può essere una catastrofe - ci ha detto - Ma possiamo deciderlo noi, come sarà”. In che senso? “Ormai abbiamo capito che la globalizzazione dei prodotti non funziona, perché non possiamo trovare nei negozi sotto casa, in ogni stagione e ogni periodo dell’anno, l’avocado che arriva dal Sudamerica o l’insalata che arriva dal Cile”.
Ancora: “È un problema di crisi climatica, di mercificazione e massificazione dei prodotti e del loro insensato spostamento da una parte all’altra del mondo, dall’Australia all’Europa, dalle Americhe all’Asia”. Ma “non è un problema delle singole categorie, di noi chef, dei consumatori, dei ristoratori: è un problema del genere umano”.
È un problema di sostenibilità? “Ancora questa parola… ormai la usano tutti, è sulla bocca di tutti, la dicono tutti, talmente tanto che è stata svuotata di significato - ci ha detto Battisti alzando gli occhi al cielo - Quando aprimmo Ratanà nel 2008, in tempi non sospetti, già allora l’idea era di fare cucina con materie prime locali e di prossimità”. Di fare cucina sostenibile, senza usare il termine sostenibile.
E oggi come si fa a farla per davvero, senza che sia solo un modo di dire? Battisti una soluzione la ha, e ammettiamo che l’abbiamo trovata interessante e praticabile: “Devono viaggiare le idee, più che i prodotti”. Cioè? “Le tecniche per cucinare, preparare, proporre un cibo in un certo modo sono ormai accessibili a tutti - ci ha spiegato lo chef - Sono quelle che devono viaggiare: le idee, non le materie prime. Quella sì che sarebbe una cosa buona”.
Un’altra cosa buona e utile, secondo Battisti, sarebbe smetterla di denigrare i lavori più semplici: “Demonizziamo il lavoro manuale, il contatto con la terra, pure i migranti - ci ha detto - Ma senza tutto questo, senza queste persone, senza chi fa questi lavori, non abbiamo futuro”.
Un futuro che per Battisti passa anche dal progetto Marcel Boum, un piccolo angolo di Africa nel cuore di Milano (è nella zona di via Savona), per cui lo chef ha curato la costruzione del menu: ha approfondito e studiato la tradizione gastronomica del continente, rendendola contemporanea con proposte bilanciate, sane e pensate per chi si approccia per la prima volta a questi gusti. Non si tratta solo di fare da mangiare e di mangiare: fra polenta fritta di mais bianco, gnocchi di platano e bocconcini di pollo con spezie, l’intenzione è anche quella di fare diventare lo street food africano un mezzo di integrazione culturale e sociale, di accoglienza e inclusività.
È un’idea di Gaia Trussardi, da sempre attenta a questi temi e anche collaboratrice storica della Croce Rossa Italiana, che ha trovato in Battisti il partner ideale per questa esperienza: “Credo nell’umanità, ne vedo le innumerevoli bellezze e volevo un luogo che senza troppe spiegazioni fosse capace di abbattere certi muri, promuovendo la multiculturalità e l’integrazione - ha spiegato di recente la figlia del celebre stilista, parlando di Marcel Boum - Nulla è conviviale quanto la tavola, un’esperienza che unisce attraverso i sensi. Il cibo ha la capacità straordinaria di comunicare i valori di chi lo prepara e offre”.
Parlando di questo, cioè di chi il cibo lo prepara e lo offre, con Battisti abbiamo provato a fare una riflessione sul rischio che ci siano sempre meno persone disposte a lavorare nella ristorazione: perché succede? È davvero così stressante, come ha ammesso lo chef René Redzepi, che per questo ha deciso di chiudere il suo Noma? “Il loro è un caso unico e irripetibile, ma il problema indubbiamente c’è ed è generale, ed è in effetti anche un problema di disponibilità dei lavoratori e di disponibilità al sacrificio - ha ammesso Battisti - Negli anni della pandemia ci siamo tutti resi conto che il benessere personale è importante, o comunque più importante di quello che pensavamo, più importante della corsa sfrenata al lavoro, al successo, ai soldi e alla soddisfazione economica”.
Tantissimo se ne sono accorti i più giovani, che secondo lo chef del Ratanà “devono essere più ambiziosi, avere un punto d’arrivo, un obiettivo e capire che raggiungerlo non è facile”. E soprattutto non è facile come si vede in televisione: “L’esposizione mediatica degli chef ha fatto bene da un lato, perché ha contribuito alla diffusione della cultura del cibo, ma ha fatto male dall’altro, perché tutti si sentono cuochi, influencer, già arrivati”. E invece “si deve capire che le soddisfazioni non vengono da sole e che il successo non viene da solo”. Viene con l’impegno, che se poi è sostenibile è pure meglio.
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