Oltre la Silicon Valley: 7 start-up del cibo da tenere d’occhio

Consegne reinventate, la doggy-bag che diventa Le Gourmet Bag, carne creata dalla frutta e pure dall’aria: ecco sette compagnie piccole che presto potrebbero diventare grandi

Nemmeno 3 anni fa, anche Beyond Meat e Impossible Foods erano start-up, piccole aziende che muovevano i loro primi passi, innovative e soprattutto con un’innovativa idea di business, capaci di attrarre centinaia di milioni di dollari di investimenti. Oggi la prima ha una capitalizzazione di 9,5 miliardi, la seconda ha oltre 600 dipendenti e sono senza dubbio i due marchi più famosi quando si parla di non-carne (come spiegato nell'articolo Perché se è vegetale non si può chiamare latte? Vi spieghiamo la battaglia sui nomi dei cibi ) o più in generale di  alternative ai prodotti di derivazione animale.
La californiana Plenty, di cui vi abbiamo raccontato nell’articolo dedicato all’agricoltura verticale (L'agricoltura verticale per coltivare sempre e ovunque), formalmente è ancora una start-up, ma prevedibilmente non lo sarà per molto: non con una “fattoria” già pienamente operativa a San Francisco e un’altra gigantesca in costruzione a Los Angeles, non dopo aver ricevuto 200 milioni di dollari da finanziatori come Amazon e Google. Poi c’è la cilena NotCo, che produce NonLatte e NonMaionese usando l’intelligenza artificiale (Pesce di banana, patatine di salmone, latte fatto dall'IA e altri cibi assurdi che puoi già mangiare), è nata nel 2015, oggi vale quasi 100 milioni di dollari ed è pronta a sbarcare sul ricco mercato americano.

È la conferma che quello legato al cibo resta un settore merceologico ricco e profittevole, ma anche dimostra che negli ultimi anni questa tendenza sembra inarrestabile, con un numero crescente di piccole compagnie che in poco tempo fanno il grande salto e diventano giganti. E anche inventano mercati che prima nemmeno esistevano.

Di seguito, ecco 7 realtà da tenere d’occhio prima che facciano il “botto” (o anche in cui investire, se non volete pentirvi come quelli che l’anno scorso si sono fatti sfuggire le azioni di Beyond Meat).

Take-Away

Quello dello spreco del cibo, all’inizio o alla fine della catena produttiva, è uno dei maggiori problemi dell’industria alimentare, che si porta dietro conseguenze a livello ambientale (perché per produrre quel cibo non utilizzato si è comunque inquinato) e pure sociale, perché ci sono persone che lo mangerebbero eccome, quel cibo buttato via. Che spesso è fatto dagli avanzi lasciati nei piatti dei ristoranti, di quello che ordiniamo e però non finiamo. E abbandoniamo lì, perché chi ha davvero il coraggio di chiedere la “doggy-bag” da portare a casa?

Proprio da qui, nel 2016 è nato in Francia un progetto finanziato anche dal governo. È nato a Lione, e chissà se è un caso che sia nato nella città dello chef Paul Bocuse: chissà cosa pensava lui della start-up che allora si chiamava Take-Away e ha iniziato la sua mission dalla terminologia, perché le parole sono importanti ("Sei un vegetale!" l'Accademia della Crusca ci spiega l'influenza che le parole hanno sul nostro modo di mangiare), perché “Le Gourmet Bag”, che è il nome che si sono inventati, suona decisamente meglio di “doggy-bag” e anche perché chiederne una è probabilmente più facile che dire “scusi, mi dà un sacchetto dove mettere gli avanzi per il cane?”.

L’opera di convincimento di Take-Away (sui clienti dei ristoranti, ma pure sui ristoratori) passa anche attraverso una scatola creata proprio allo scopo, fatta di cartone riciclabile, facile da trasportare, impermeabile e pure gradevole alla vista. Sempre per evitare quel momento imbarazzante del “scusi, ha un sacchetto per gli avanzi?”.

Too good to go

Una realtà abbastanza consolidata, ma ancora piuttosto giovane, è quella della danese Too good to go, nata nel 2016 sempre per combattere lo spreco di cibo: il cuore del progetto è un’app, disponibile per iOS e Android, che mette in  contatto ristoranti, hotel, negozi e supermercati che hanno cibo avanzato (oppure in scadenza) con potenziali clienti, che possono ritirarlo e portarselo a casa, pagando un prezzo più conveniente.

Secondo l’azienda, della sua rete al momento fanno parte quasi 7mila realtà commerciali e sinora sono stati “salvati” quasi 1,2 milioni di pasti: attraverso l’app, è possibile cercare quello che interessa sia attraverso una mappa geolocalizzata sia in base a ingredienti e piatti che si vorrebbe mangiare.

Karana

Le alternative vegetali alla carne non sono (quasi più) una novità, ma alcune ancora un po’ sì: è il caso del non-maiale, dall’inizio dell’anno prodotto, anche sotto forma di salsiccia, pure dagli americani di Impossible Foods. È importante perché questa carne, insieme con quella di pollo, è la più consumata al mondo (secondo gli ultimi dati dell’Onu ) ed è usata tantissimo in Cina, talmente tanto che se ne producono oltre 50 milioni di tonnellate l’anno.

È un buon business, insomma, come si sono accorti i fondatori di Karana, una start-up di Singapore che l’estate scorsa ha raccolto 1,7 milioni di dollari di finanziamenti per produrre un’alternativa plant-based al maiale partendo dal “jackfruit”. In italiano si chiama giaco ed è il frutto più grande fra quelli che crescono sugli alberi: opportunamente lavorato, avrebbe un sapore abbastanza simile a quello della carne che deve rimpiazzare.

In alcune parti dell’Asia, i prodotti di Karana sono già in vendita nei supermercati e nelle catene di fast-food e la compagnia si è detta pronta a sviluppare altri cibi a base vegetale che possano sostituire quelli di derivazione animale.

Nella foto il Jackfruit alla base dei prodotti Karana

Air Protein

Per credere a quello che promette Air Protein, una start-up di Pleasanton, in California, serve un (bel) po’ di fantasia. O di lungimiranza, come dimostra quello che è accaduto con la carne stampata e con la carne “coltivata” (come raccontato in I segreti di carne stampata e carne “coltivata”: ecco come la fanno quelli che la fanno), che solo 7 anni fa sembravano fantascienza.

L’idea, come forse si capisce dal nome della compagnia, è quella di creare la carnedall’aria. No, la magia non c’entra: si usa un processo di fermentazione probiotica simile a quello che permette di arrivare a birra e yogurt, in questo caso partendo però da anidride carbonica, azoto e ossigeno, combinati con acqua e nutrienti per sintetizzare una proteina da “iniettare” poi nel prodotto finito.

Yamo

In una direzione simile, cioè quella di creare cibo più sano (sia per l’ambiente sia per chi lo consuma), si muovono gli svizzeri di Yamo. Che hanno un target specifico: i bambini. La scorsa estate, i fondatori hanno raccolto oltre 10 milioni dagli investitori e sono pronti a vendere i loro prodotti in alcuni supermercati in Svizzera (ovviamente), Germania e Francia.

L’idea dell’amministratore delegato, Tobias Gunzenhauser, è quella di creare alimenti sani e sostenibili (per la Terra) da destinare ai più piccoli, prevalentemente a base vegetale, da cui sono stati tolti zuccheri in eccesso e altri ingredienti ritenuti inutili e anzi dannosi. E visto che la piaga del cibo ultratrasformato (La mala-evoluzione del junk food: cos’è il cibo ultratrasformato, la tentazione da cui non riesci a liberarti) tocca anche il cibo per i bambini, potrebbe in effetti essere una buona idea.

Nella foto i 3 giovani fondatori di Yamo

Healthy Fresh Meals

Questa piccola azienda di Hyattsville, nello Stato americano del Maryland, è nata da un’idea dalla 34enne Shana Greenbaum e unisce due “tendenze” innegabili del periodo in cui stiamo vivendo: l’ansia del mangiar sano, con tutto quello che ne consegue, e la necessità di farselo recapitare a casa o in ufficio, evitando così di uscire ed entrare in contatto con altre persone.

La compagnia si chiama Healthy Fresh Meals (Pasti Freschi e Salutari, in italiano), dà lavoro a 25 persone e serve prevalentemente la zona compresa fra Baltimora e Washington, consegnando più o meno 4mila pasti alla settimana, il cui costo medio si aggira sui 12 dollari.

Gli affari vanno bene, ha raccontato la Greenbaum al Washington Post, parlando di incassi vicini ai 2 milioni di dollari entro la fine dell’anno: tutti i pasti vengono cucinati nella sede di Hyattsville, sigillati e messi in vassoi riciclabili che dovrebbero tenerli freschi per una settimana (se conservati in frigo) e poi consegnati da un piccolo “esercito” di corrieri.

Immagine dal sito Healthy Fresh

iFarm

Sul Cucchiaio abbiamo già parlato dell’agricoltura verticale, applicata a livello industriale sia in Italia sia in altre parti del mondo, ma c’è una start-up finlandese che vuole portare questi concetti nelle nostre case, permettendoci di avere una sorta di piccolo orto “personale”.

Si chiama iFarm, ha sede a Espoo, in Finlandia, e uffici anche Dover, negli Stati Uniti, e a Mosca: la loro idea è quella di offrire soluzioni modulari, basate appunto sui princìpi delle coltivazioni idroponiche, ampliabili a seconda delle esigenze, per fare crescere pressoché ovunque le verdure, l’insalata, pure i frutti di bosco. Così da averli sempre pronti e freschi fra le mura domestiche, o nella zona relax dell’ufficio, qualsiasi cosa accada là fuori.

A completare il tutto, un software, chiamato Growtune , che permette di tenere d’occhio le coltivazioni anche da remoto, controllare il processo di crescita, sapere per tempo se e dove serve acqua, se è il momento del raccolto e così via.

Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

Immagine di apertura Healthy Fresh Meals

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